Quelle con Annalori Ambrosoli, vedova di Guido, furono ore (poche, in verità) destinate a restare. Ricordo bene quell’incontro, chiamato con la collega Sara Bessi a dire parole introduttive. Venne a Vinci, invitata dal gruppo che da venti anni, nella terra di Leonardo, organizza preziose occasioni di confronto su temi di attualità (Vincincontri). Era il 29 gennaio 2016.
Il tema di quella serata (Il caso Ambrosoli: banche e finanza di ieri e di oggi) ma soprattutto il ricordo di un uomo onesto – assassinato per la sua onestà – è tornato vivo in questi giorni, a quasi 40 anni dall’omicidio, grazie alla docu-fiction (“Giorgio Ambrosoli: il prezzo del coraggio“) passata su Rai1
Ed è di questi giorni un fascicolo, curato da Vincincontri con l’elenco di tutte le conferenze (70) ospitate fra il gennaio 1999 e il 6 dicembre scorso. Il curatore, Silvano Guerrini, ha rivolto ai relatori una domanda: sull’importanza di “uscire di casa partecipando a incontri capaci di aprirci al mondo”.
Annalori è stata una fra le prime a rispondere. “Venendo a Vinci, come sempre quando esco di casa, ero preoccupata di riuscire a trasmettere i sentimenti che avevano spinto Giorgio a svolgere il suo lavoro per quasi cinque anni”. Lei e i suoi figli, in particolare Umberto che aveva 8 anni quando il padre venne ucciso, raccontano quelle vicende, in particolare nelle scuole, affinché ne resti memoria.
Suo marito, avvocato quarantenne, nel 1974 era stato nominato liquidatore di una banca privata guidata fino al fallimento da Michele Sindona: colui che una dozzina di anni dopo sarebbe stato condannato all’ergastolo come mandante di quell’omicidio. Per poi uccidersi pochi giorni dopo.
Aveva svolto quell’incarico, Giorgio Ambrosoli, senza farsi condizionare dai tanti potenti che da lui, blandendolo o impaurendolo, avrebbero preteso altro. Lui, servitore dello Stato insieme a un graduato della Finanza morto pochi giorni fa, il maresciallo Silvio Novembre, aveva fatto la cosa giusto: aveva saputo resistere a un intreccio criminale fra politica e massoneria più o meno deviata, mafia e finanza, perfino Vaticano. Da lui si pretendeva un comportamento per lui impossibile: chiudere un occhio, meglio due. Far pagare allo Stato, cioè a tutti noi, il grande furto di Banca Privata. Loro due, soli ma forti, isolati ma tenaci, seppero dire “no”.
Prosegue Annalori, nel suo ricordo vinciano. “Poi la certezza che la testimonianza sia un valore al quale fare riferimento. E ho trovato le parole che meglio potessero esprimere i comportamenti dovuti alla consapevolezza che Giorgio aveva provato nello svolgimento di un incarico così gravoso. La responsabilità, la professionalità, lo spirito di servizio e la libertà lo hanno sempre guidato sino alla fine. A Vinci – conclude Annalori Gorla, vedova Ambrosoli – mi sono sentita accolta con affetto. Rimarrà per me un bel ricordo”.
Al funerale di Guido Ambrosoli, servitore dello Stato, lo Stato non si presentò. 40 anni dopo quei banchi vuoti fanno ancora male.