Non è certo una “notizia”: tutti già lo sappiamo – e da un pezzo – che la nostra montagna, quella che chiude in altezza Pistoia, si sta spopolando. Eppure quando ho visto queste cifre (nella ricerca promossa, a Pistoia, dal Centro Famiglia Sant’Anna sui “giovani e fare famiglia”. Presentata ieri in Palazzo dei Vescovi) ho sobbalzato.
Il demografo pistoiese Marco Breschi (insegna nelle università di Sassari e Udine oltre che girare il mondo a studiare la sua materia) nella parte numerica della ricerca sui giovani in Pistoia e dintorni, e sul loro rapporto con il matrimonio e dunque con il futuro, si è anche soffermato sul territorio montano: dove oggi si contano appena 644 giovani (fra i 30 e i 34 anni) su una popolazione attorno alle 15 mila unità. Poco più del 4,2 in percentuale. La riprova di un forte squilibrio: confermato anche da un indice (l’indice di vecchiaia) che per i demografi è pane quotidiano e che, nella sostanza, fotografa il rapporto giovani/anziani. Un indice che più basso è meglio è.
Se nella pianura di Pistoia l’indice si attesta su 160 per salire a 211 in città, è sulla montagna pistoiese che arriva il vero problema: schizza a 328 per salire addirittura a 350 se si tolgono gli stranieri. Più di tre persone over 65 a fronte di un solo giovane under 15.
E’ vero che anche altri numeri della ricerca appaiono, per l’intera area pistoiese, preoccupanti (una proiezione al 2050 dei 30/34enni fa stimare che, fra tre o quattro decenni, i giovani pistoiesi saranno addirittura la metà rispetto a quelli che erano a inizio secolo: da circa 12 mila a circa 6 mila. Un tracollo). E’ anche vero che i numeri sono un mezzo e non un fine: vanno sempre e comunque interpretati. Eppure leggere quel chiaro dato sull’invecchiamento della nostra montagna non può non provocare una reazione: una parte così ampia del nostro territorio, con potenzialità teoriche di grande peso per fornire stili di vita di qualità davvero migliore a uomini e donne sempre più stressati da agglomerati urbani nel nostro caso tutto sommato ancora a misura di uomo, rischia in modo molto concreto, e molto veloce, abbandono e silenzio; con tutti i problemi collegati (anche di assetto ambientale) e rapidamente scaricabili anche sulle pianure.
Dietro ai numeri ci sono persone. Persone che, partendo dalle classi dirigenti (politici e non), avrebbero la possibilità di invertire tendenze così disastrose. Dietro a queste nostre proiezioni locali, di desertificazione e abbandono rispetto a terre un tempo vive e vivaci, c’è un problema vasto non solo come l’Italia appenninica ma anche come il mondo: l’abbandono delle aree interne e “marginali”, la tendenza a vivere in agglomerati urbani sempre più grandi e invivibili. Figurati se non lo so. Questioni di complessità enorme.
Eppure quel numero (indice di invecchiamento fra 328 e 350 in paesi che ho fatto in tempo, di persona, a vedere ancora vivi e vivaci) è elemento che non mi stupisce, non mi dice nulla di nuovo: però mi rende triste. Arrabbiato. Incuriosito di capire se riusciremo, e come, a invertire una tendenza che oggi rinvia al deserto.
foto by Enzo Rettori