Scopriamo solo stamattina, 24 giugno, quando l’attenzione del mondo, e quindi anche dell’Italia, è tutta su altre sponde, che il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, è stato ascoltato dai magistrati come persona informata sui fatti nell’ambito di una inchiesta sulle speculazioni in Borsa collegate all’annuncio di un provvedimento governativo sulle Banche Popolari.
E scopriamo che l’interrogatorio non è di ieri, ma risale al 20 maggio: così scrive Fiorenza Sarzanini sul Corsera. Si scopre pure che erano filtrate indiscrezioni, smentite da Palazzo Chigi.
L’accusa è di quelle gravissime: insider trading (qualcuno fa grandi affari perché qualcun altro, esempio titolare di una carica pubblica, gli ha fornito informazioni riservate). La questione è delicata, riguardando persone vicine a Renzi sui cui affari – legittimi, fino a prova contraria – sta indagando la Procura anche con riferimento all’annuncio (gennaio 2015) sulla privatizzazione delle Banche Popolari. Deklicata, la vicenda, anche perché scoppiata in seguito alla denuncia (sulle plusvalenze realizzate da alcuni speculatori) presentata nientemeno che da una autorità pubblica: la Consob.
Andrà certo tutto a finire bene; non ci saranno elementi di illegalità; tutto si sarà svolto nella totale correttezza; Renzi avrà certo dimostrato di non aver saputo nulla sulla circolazione di notizie riservate. Ma resta un dato comunque brutto e antipatico: da oltre un mese un presidente del Consiglio che ha fatto della rottamazione e della trasparenza la sua (iniziale) carta vincente, sapeva di essere stato chiamato a testimoniare su una vicenda così delicata e non ci ha, a sua volta, informato (anzi: pare abbia negato). Resta pure un secondo elemento: la notizia, non data dai media nelle scorse settimane, è filtrata solo oggi quando (guarda caso …) tutto il mondo, e dunque anche l’Italia, guarda altrove.