Furono circa 700, ma secondo qualche storico la cifra andrebbe aumentata almeno di 300 unità. Erano soldati, persone semplici, del popolo, mandate a combattere altri uomini simili a loro in quella che fu chiamata “prima guerra mondiale”. Lì trovarono la morte: non per colpa di qualche soldato nemico ma solo perchè vennero fucilati, senza processo, su ordine di qualche loro comandante: mandati a morte con l’accusa, infamante in tempo di guerra, di aver disertato.
In realtà si erano rifiutati di obbedire a ordini insensati: come capitò – per fare un esempio passato alla storia della cinematografia – ai soldati coperti di latta nell’ancora notevole “Uomini contro”. Soldati che un generale pazzo pensava potessero resistere, andando allo scoperto, contro le sventagliate dei nemici. Nemici che a loro volta, dando prova di umanità, vedendo questi poveracci cadere come mosche perchè illusi che corazze di latta li avrebbero coperti, smisero di sparare implorando i “nemici” di non farsi uccidere così.
Una storia ormai antica che ha da poco portato il Senato ad approvare una risoluzione per chiedere la riabilitazione di questi giovani uomini uccisi dalla follia di chi li comandava. Se ne era occupato anche il presidente Sergio Mattarella in un convegno, tempo fa, sui “fucilati” e dunque sul funzionamento dei Tribunali militari e della “giustizia sommaria”. Il Capo dello Stato ricordò anche la prassi (“sconcertante ma incoraggiata dal Comando Supremo”) delle “decimazioni: soldati messi a morte, estratti a sorte, tra i reparti accusati di non aver resistito di fronte all’impetuosa avanzata nemica, di non aver eseguito ordini talora impossibili, di aver protestato per le difficili condizioni del fronte o per la sospensione delle licenze”.
Fra chi ha restituito vita a vicende così lontane si segnala “Avvenire” che ne ha più volte parlato. Anche a metà dello scorso marzo, dando ampio spazio a quella risoluzione parlamentare avvenuta, all’unanimità, nella Commissione Difesa del Senato. Per avere effetti concreti quel provvedimento doveva solo passare in Aula e sarebbe stato pronto per il 4 novembre di questo 2021, festa delle Forze Armate e centenario del “Milite Ignoto”.
Non conosco i motivi per cui ciò non è accaduto. In effetti una ferita così forte, seppure lontana, non ha trovato spazio, Nessuno ne ha parlato. Come se la risoluzione non fosse stata approvata. C’è da augurarsi che la ferita venga sanata al più presto e che si provveda a concretizzare quel documento in tutte le sue parti: una iscrizione, da collocare all’Altare della Patria, in memoria di questi uomini uccisi con la falsa accusa di viltà; una cerimonia pubblica a cui dare visibilità anche attraverso i media; la pubblicazione dei nomi dei soldati morti in queste circostanze; la segnalazione dei nomi ai Comuni di nascita per favorirne la pubblicazione negli albi comunali; il sostegno a iniziative anche locali che possano recuperare la memoria di vicende così particolari.
Da anni – leggo su “Avvenire – due gli storici che seguonno il caso: Irene Guerrini e Marco Pluviano. Dopo un primo volume pubblicato nel 2004, ne hanno da poco fatto uscire un secondo (“Fucilati senza un processo”, Gaspari editore, pagie 250, euro 24) con i nomi di persone mandate a morte con l’accusa di essere vigliacchi. Ma chi erano i veri viigliacchi?