Quella patente di guida (“ad uso privato”) targata Repubblica Italiana (“Ministero dei trasporti e dell’aviazione civile”) mi stava in tasca da 45 anni e qualche mese. Non sono bravo nei conti, ma il telefonino aiuta e arrivo, anni bisestili compresi, a una cifra importante: 16.666 giorni.
Sedicimilaseicentossessantasei giorni che quel rettangolino rosa in plastica – diviso in tre e dunque, fronte/retro, con sei facciate – me lo sono tenuto in tasca. Vado orgoglioso di quella foto, scattata all’inizio degli anni Settanta (allora si diventava maggiorenni non a 18 ma a 21 anni) con capelli tutti scuri e senza occhiali. Nulla a che fare con la foto odierna, sulla nuova “partente di guida” assai meno affascinante ma elettronica: qui i capelli sono tutti bianchi (ma ci sono ancora) e anche qui mancano gli occhiali (ma solo per via di norme internazionali che vogliono così). Non studio più Scienze Politiche ma, da pensionato, assisto alla pochezza della politica.
E’ davvero questo, il cambio di patente, un momento fondamentale nella vita di un essere umano. Quel pezzo di plastica pieno di timbri e bolli (nel 1972 si pagavano 500 lire all’anno, diventate 3 mila lire nel 1981 e 70 mila a fine millennio), da oggi non sta più nel portafoglio accanto al santino di Santa Celestina (martire e vergine romana, sconosciuta ai più ma famosissima nel mio paese di nascita. E in pratica solo lì).
Sono contento di poterla tenere, l’antica patente, anche se quella nuova, assai meno fascinosa, mi durerà non i 10 anni fin qui concessi dallo Stato ma solo la metà. Mi ha accompagnato, giorno dopo giorno, per quasi mezzo secolo. Dentro questi 16.666 giorni ci sono un sacco di cose: belle e brutte, con le prime che per fortuna sopravanzano di parecchio le altre.
Toccando ferro non ci sono – per fortuna o anche per una buona guida – ricordi di incidenti gravi. In effetti molte multe “veniali” per eccesso velocità e sosta vietata. Parecchi graffi nelle carrozzerie delle varie auto usate (all’inizio una 500 bianca, ma come dimenticare la 126 rossa del viaggio di nozze?). Merito, di sicuro, anche di una saggia avvertenza del mi’ babbo carabiniere, quando facevo scuola guida (“Ricorda sempre di stare attento non solo agli errori tuoi ma pure a quelli degli altri”).
E merito anche del mitico “Paolone”, l’uomo della scuola guida di San Marcello che mi scarrozzava per le stradine verso Spignana (chi ha imparato a guidare qui non ha problemi a guidare ovunque).
Erano gli anni che l’ospedale dava un piccolo contributo, per via del veleno da trasformare in siero, a chi portava vipere: su un muraglione in quella strada, ferme al sole, di vipere ce ne stavano tante e “Paolone” era un grande raccoglitore unendo l’utile (insegnarmi a guidare) con il dilettevole (catturare le vipere facendo fermare la 500 e costringendomi poi a imparare l’arte della ripartenza in salita). E come dimenticare, nelle 500, la “doppietta”?
Nostalgia per quei timbri e quei bolli, per quella foto e per quella firma. Il pezzetto di plastica che mi hanno dato in cambio ho intenzione di portarlo ancora a lungo. Ma vuoi mettere quell’antico “permis de conduire“? Vuoi mettere i vari cambi di residenza? Vuoi mettere la foto del 1972?