Mi piacciono le battaglie (all’apparenza) perse. Votare “no” durante il referendum sulla riforma della Costituzione che, se vinceranno i “si”, taglierà un terzo dei parlamentari è una di queste.
Si voterà domenica 29 marzo e tutti si aspettano, da noi cittadini, una valanga di voti per confermare quella riforma costituzionale e, dunque, per tagliare 345 “poltrone”. Così i deputati scenderebbero da 630 a 400 e i senatori da 315 a 200. Dai 945 parlamentari odierni si scenderebbe, in totale, a 600, con un risparmio economico irrisorio (tutti lo sanno: appena lo zero, virgola zero qualcosa) ma con un sacrificio, in termini di rappresentanza democratica, decisamente elevato.
Non sopporto il populismo. So di essere in minoranza, in un contesto che proprio da varie forme di populismo spesso si fa ingannare. Considero ottimo il risultato in Emilia-Romagna anche perché una fra le forme più pericolose di populismo italico (non certo la sola) è stata sconfitta.
Ma temo che il 29 marzo 2020 assisteremo a una valanga di consenso populista: troppo facile il bersaglio; troppo semplice prendere atto dello scadente peso di un ceto politico peraltro frutto di un “rinnovamento” continuo; troppo impopolare schierarsi dalla parte di chi, cercando di far ragionare cervello e cuore non viscere e rabbia, ritiene pericolosa quella demagogia.
Nessuno, oggi, può prescindere da piacevoli sorprese (chi mai avrebbe detto che la “bestia” sarebbe stata sconfitta?), ma la battaglia fra il “si” (alla riforma piaciona, alla rabbia popolare, alla demagogia) e il “no” (alla pacatezza di una riflessione su contenuti e forme della democrazia), la trovo impari.
Vinceranno certo i “si” al … taglio delle poltrone. Ma io ci tengo a dire, pubblicamente, il mio “no” al taglio della democrazia.
Bella parola, democrazia. Ma anche impegnativa specie oggi. Specie quando un ex ministro degli Interni osa chiedere “pieni poteri”. Specie quando un istituto di ricerca serio certifica che la metà di noi italiani non si stupirebbe dell’arrivo di un “uomo forte”. Specie quando nessuno più legge nulla e qualcuno gioca sporco sulla nostra ignoranza. Specie quando compaiono, sulle case di persone ebree, scritte vergognose. Specie quando chi ha studiato un po’ di storia sa bene quanto la storia dovrebbe insegnare e quanto invece non insegna anche nel rapporto fra noi e il potere.
Voterò, convinto, un bel “no”. Convinto anche che molto dobbiamo fare – anche come “semplici” cittadini – per meritare quella Costituzione e quelle istituzioni democratiche originate non da un banale “caso” bensì da una immensa tragedia: una guerra, sanguinosa e crudele, per sconfiggere dittature sanguinose e crudeli.
La sfiducia e la rabbia oggi avvertite in tante persone – in particolare in chi ha maggiori fragilità e dunque avrebbe più bisogno di istituzioni democratiche e di politici responsabili – vanno trasformate in fiducia e speranza.
Partiti non autoreferenziali, aule parlamentari più serie, media più responsabili, società civile più sveglia, cittadini più tali, governi meno attenti all’ultimo sondaggio. Di questo c’è bisogno. Tagliare 345 “poltrone” serve a poco. Anzi può aggravare la malattia.