Da quasi un mese circa 1.800 prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane sono in sciopero della fame. Protestano contro le condizioni “disumane” in cui tutti loro (circa 6.500) sono costretti a vivere. A loro sostegno si sono espressi gli ordinari cattolici di Terra Santa. Ne ha anche accennato qualche giorno fa, intervenendo a Poggio a Caiano per ricordare i 15 anni dalla fine dell’assedio alla Natività, il francescano Ibrahim Faltas della Custodia di Gerusalemme. La vicenda è però circondata, qui in Italia e forse non solo, da un grande silenzio. Riprendo dunque il taccuino con gli appunti di un recente pellegrinaggio in Terrasanta e trovo due notazioni.
Siamo passati, con il nostro pulmino, scendendo da Nazareth verso il Mar Morto, proprio accanto a una di queste carceri israeliane. Di massima sicurezza. Ci rendevamo bene conto della sostanziale illegalità che caratterizza la complessa questione dei territori palestinesi occupati da Israele, con tutto il carico di odio che da questo deriva in una parte del mondo così preziosa per miliardi di persone (cristiani, musulmani, ebrei).
E mentre lo sguardo “religioso” si puntava sul monte Gilboe (una cima importante per gli israeliani nel ricordo delle battaglie bibliche contro i filistei. Il monte dove caddero Saul e i suoi figli. Il monte citato anche da Dante), lo sguardo “civile” non lasciava le muraglie, tetre, del carcere accanto al quale si stava passando: denominato, il carcere, Gilboa. Con dentro centinaia di persone chiuse, in condizioni assai poco civili, per motivi politici.
Il giorno prima, andando verso il lago di Galilea, ci siamo imbattuti in un’altra struttura. Anch’essa un carcere, ma parecchio diverso da quello che avremmo visto il giorno dopo. Era, infatti, una prigione “per ricchi”: ospita, cioè, condannati per reati finanziari e fatti corruttivi. Le spese per carceri come queste, in Israele, sono a carico dei “prigionieri”: pagano loro e, in conseguenza, diciamo che si trattano … benino. Sistemazione, insomma, para-alberghiera per i colletti “bianchi” e condizioni disumane per quelli “sporchi”. Poco dopo ci saremmo fermati anche sul monte delle Beatitudini. Quello del discorso della Montagna. Quello che fa appello a chi ha “fame e sete della giustizia”.