L’avevo certo letta. Chissà quanto tempo fa. Ma era finita in chissà quale parte, dimenticata, dei miei ricordi lontani su Giorgio La Pira. Me la ripropone, adesso, un piccolo libro edito dal “GruppoAbele” di don Luigi Ciotti che ho visto presentato pochi giorni fa alle Piagge di Firenze e che ho subito comprato il giorno dopo. “Disobbedienza profetica“, questo il titolo, racconta, curato da Beniamico Deidda e Tomaso Montanari, una Firenze che non c’è più: quella di Milani, Balducci, Borghi, Brandani, La Pira, Mazzi, Turoldo e (unico vivente, ma in una Firenze non a caso lontana dalla morte del centro storico) Santoro.
E’ una lettera che Giorgio La Pira, sindaco della città, scrisse all’amico Amintore Fanfani il 27 novembre 1953. Di una forza profetica incredibile (ma la forza di La Pira – che era, ed è, tutto tranne che un santino – stava tutta nella sua credibilità) che rimanda al senso vero della Politica. Il sindaco di Firenze scrive al ministro degli Interni su tematiche (la disoccupazione, le ingiustizie, i divari poveri/ricchi, il rapporto dei cristiani con il mondo …) di perenne attualità.
L’ho appena riletta. E riletta (tratta dal sito ufficiale della Fondazione La Pira). Provando una commozione difficile da ignorare. Fatemi (e fatevi) un piacere: prendetevi un po’ di tempo per leggerla. Merita. (MB)
Carissimo Amintore,
è mezzanotte, non prendo sonno, e sento la necessità di rispondere subito a qualche punto essenziale della tua lettera odierna.
Anzitutto: vedi caro Amintore; io non sono un “sindaco”; come non sono stato un “deputato” o un “sottosegretario”: non ho mai voluto essere né sindaco, né deputato, né sottosegretario, né ministro (ricordi l’offerta di De Gasperi?).
Quanto al “sindaco” mi pare che il mio telegramma di una quindicina di giorni fa parla chiaro.
E la ragione di tutto questo è così chiara: la mia vocazione è una sola, strutturale direi: pur con tutte le deficienze e le indegnità che si vuole, io sono, per la grazia del Signore, un testimone dell’Evangelo… mi sarete testimoni (eritis mihi testes) mia vocazione. la sola. è tutta qui!
Sotto questa luce va considerata la mia “strana” attività politica: non bisogna dimenticare che durante i tempi più acuti e dolorosi del fascismo è stata questa mia vocazione di “testimonianza a Cristo” a mettermi in prima linea nella trincea del più aspro combattimento.
E se poi, necessariamente, i cattolici italiani mi misero in prima linea nella vita politica -costringendomi! – quella vocazione di testimonianza fu, almeno come ideale, la sola stella della mia azione. Veniamo ora al “sindacato”: figurati, se io posso rinunziare alla verità ed alla giustizia per servire alla lettera della legge: e poi: quale legge?
Guardare senza operare alle iniquità che si nascondono sotto i velami della legge? Summum jus summa iniuria dicevano i romani; e S. Tommaso: non est lex sed corruptio legis: non è legge ma corruzione della legge! Osservare duemila sfrattati senza intervenire in qualsivoglia modo? Quali iniquità: leggi che hanno un solo destinatario: il disgraziato, il povero, il debole; per caricare su di lui altri pesi ed altre oppressioni (legge sfratti, fatta alla insegna D.C.)!
Osservare novemila disoccupati senza intervenire in qualsivoglia modo? Senza stimolare, per vie diritte e per vie storte, un governo apatico, quasi ignaro del dramma quotidiano del pane di novemila disoccupati? Non c’è danari: quale formula ipocrita e falsa: non c’è danari per i poveri la formula completa e vera! Siamo un paese povero: altra formula ipocrita: siamo un paese povero pei poveri, è la formula vera!
Osservare duemila licenziamenti in atto (e 2000 in potenza) consolandomi con le esigenze della “congiuntura economica” e del non dar “esca ai comunisti”?
lo resto stordito quando penso queste cose! Ma come: duemila licenziamenti illegittimi. nulli giuridicamente: una azienda grandissima e famosa illegittimamente chiusa; un colossale arbitrio economico, giuridico, politico, sociale: si grida, si dà l’allarme, si dice che qui la nequizia ha raggiunto il limite dell’intollerabile; che Dio stesso prenderà vendetta di questa iniquità senza nome; ed ecco che un “sindaco” che si preoccupa di queste cose – e di che cosa deve preoccuparsi, solo delle fanfare! – deve vivere (come io vivo da qualche mese) ai margini della legge, denunciato per reati, preparato a varcare (e non retoricamente) la soglia delle carceri.
Ti parrà inverosimile: ma io proprio oggi dicevo alla mia segreteria – se dovesse capitarmi qualcosa (fermo, arresto, etc.) fate così e così! E non lo dicevo per ischerzo, ma con l’amarezza nel cuore. Solo mi dava consolazione quel Salmo che Gregorio VII fece scrivere sulla sua tomba a Salerno (in esilio): “dilexi justitiam, odivi iniquitatem, propterea morior in exilio”.
Quando ci ripenso resto davvero stordito: è possibile tutto questo? Sogno o realtà? Realtà; in questo nostro paese, dopo 10 anni di “regno” politico all’insegna D.C. siamo al punto di dovere temere (almeno per me) le stesse iniquità che si temevano al tempo del fascismo. Fra i potenti ed i deboli la scelta è pei potenti: fra i pochissimi industriali (una ventina) ed i milioni di lavoratori, la scelta è pei pochissimi industriali; venti uomini ricchi, forse corrotti, comunque corruttori (perché hanno in mano la stampa e se ne servono pei fini di più manifesta ingiustizia) comandano al governo, al Parlamento, al Paese; e riescono sino al punto di incrinare, in qualche modo, una amicizia da Dio stesso misteriosamente saldata!
Potenza davvero demoniaca: solo la parola del Signore pei ricchi e per mammona dà luce a questo mistero di iniquità e di potenza. Pecuniae omnia deserviunt!
Quindi caro Amintore: non dirmi: tu sei sindaco etc.: lo non sono “sindaco”. Tu sai che ho messo nelle mani del governo il mandato; non voglio esserlo, se esserlo significa dire nero al bianco e bianco al nero. Non dire che bisogna essere prudenti etc.: c’è un momento nella vita in cui gridare è il solo dovere: come S. Giovanni nel deserto!
Temere di che? Quando l’umiliazione e l’offesa dei deboli perviene sino al grado al quale è qui pervenuta non resta che lo sdegno, ardito, generoso, fiero per tutelare la personalità umana: del debole così offesa e così sprezzata! Mihi fecistis. Il Vangelo ha pagine di incomparabile grandezza in proposito: perché alle beatitudini fanno riscontro le dolorose invettive: vae vobis (guai a voi!)
In queste condizioni, vedi, non conviene avere un “sindaco” ribelle come io sono: è per questo che io non ho voluto essere mai membro tesserato del partito: per questo non vorrei mai più essere impegnato in “responsabilità” ufficiali: la mia vocazione è una sola, strutturale, non rinunziabile, non modificabile, che non può essere tradita: essere testimone di Cristo, per povero e infedele che io sia!
Queste cose tu le puoi dire a chi è necessario ed utile che le sappia: mi possono arrestare: ma non tradirò mai i poveri, gli indifesi, gli oppressi: non aggiungerò al disprezzo con cui sono trattati dai potenti l’oblio od il disinteresse dei cristiani.
Ecco perché fraternamente ti dico: mandatemi via; è meglio per tutti.
Ormai la mia situazione è ufficialmente “spezzata”, senza recupero; mi sento libero, senza freni della “prudenza” politica: in queste condizioni è meglio per tutti che avvenga una chiarificazione ed una liberazione!
Amintore caro, mi sono spiegato? Tu come ministro dell’Interno non mi incuti nessuna paura, e non mi susciti neanche (perdona) speciale rispetto: “l’autorità” appare ai miei occhi solo come tutrice dell’oppresso contro il potente.
Se ti voglio bene, e molto, se ti sono fedele, e molto, ciò è per una sola ragione: perché so che Dio ha posto nel tuo animo una intelligenza e una volontà fatti per instaurare nel mondo un “colloquio coi poveri”.
Ogni tanto tu ti ricordi di essere anche ministro degli Interni: ma allora – proprio allora – io mi sento staccato: riprendo la mia libertà totale la mia “permanente franchigia” di uomo che non ha mai chiesto di essere dove è e mi sento libero, “anarchico”, a Dio solo soggetto!
Sindaco? Neanche per idea! Prefetti, ministri, etc? Non contano nulla se la loro posizione contrasta con gli ideali pei quali soltanto posso spendere la mia energia e la mia interiorità!
Caro Amintore, se non c’eri tu in questo governo, la vertenza Pignone avrebbe avuto ampiezze ben più vaste di quelle che essa ha già assunte: lo dico a tutti: il mio punto di debolezza è Fanfani!
Concludiamo: non temere: a Firenze non avverrà nulla di spiacevole per te e per me: è solo necessario che il Prefetto non si preoccupi della cosa: che non ci pensi. lo mantengo i contatti essenziali: la Magistratura ha senso di responsabilità; sa che il caso di Firenze è unico e va coi piedi di piombo; e il tempo è a nostro vantaggio.
Tu devi fare questo, io credo: chiudere in una stanza scura, se necessario, Di Vittorio, Pastore e Costa affinché pervengano ad una decisione di questa iniqua e dolorosa vertenza: altra via non c’è: e intanto provvedere alla ripresa del lavoro che per colpa dell’azienda è stato allentato e quasi “sospeso” sin dallo scorso marzo!
Perdonami per questo sfogo così vivo e così sincero: ma non avrei ripreso sonno se non ti avessi scritto: se non ti avessi detto che la mia vocazione non è quella di sindaco o di deputato o di altro: è una vocazione di testimonianza semplice e rude, dove è necessario, che, perciò, la legge scritta vale, ai miei occhi, solo se essa non è strumento di oppressione e di fame!
E queste cose che ti scrivo sono anche un documento dell’affetto grande che a te mi unisce: tanto più grande quanto più libero: perché esso non ostacola – e lo hai provato in queste circostanze – quella mia totale libertà di “movimento” che è l’unica ricchezza che io possiedo, l’unica gioia che io godo, l’unica potenza di cui io dispongo!
La libertà che Cristo mi ha donato. E su questa libertà si radica il dolce e confortevole canto di Maria: Magnificat anima mea Dominum!
Con fraterno affetto
La Pira