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Home»Politica»Pediatra cercasi per bambini di montagna
Politica

Pediatra cercasi per bambini di montagna

Mauro BanchiniBy Mauro Banchini6 Novembre 2021Nessun commento3 Mins Read
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Sulla mia montagna (quella appena sopra Pistoia, quella che da Prato/Firenze si vede che pare toccarla, quella che potrebbe e dovrebbe rappresentare una alternativa alla stupidità di vivere tutti ammassati in una pianura affollata e inquinata) alle poche persone che ancora la abitano, e non sono vecchie, manca un servizio pediatrico capace di dirsi tale.

E’ cronaca di questi giorni: cronaca che dovrebbe potersi conquistare spazi anche oltre le pagine locali (ma non accadrà. A chi volete interessi se su quei territori, pure così vicini, fra qualche anno non abiterà più nessuno?).

Hanno fatto due conti sui pochi numeri degli under 14 che vivono nei due Comuni di piena montagna: Abetone Cutigliano e San Marcello Piteglio. E se quei conti (riferiti ai primi giorni di questo novembre) sono esatti, i bambini in età ancora pediatrica sono 778: di cui 228 under cinque e i restanti 550 compresi fra i sei e i quattordici anni). Per questi numeri, lassù c’è un ambulatorio pediatrico, a Cutigliano, aperto soltanto un giorno a settimana.

Per il resto, avendo bisogno di cure, l’unica strada è scendere, con i bambini, in città: per farlo (altro che i 15 minuti di cui si vocifera nelle metropoli per raggiungere un punto e l’altro) la strada, ancora quella del Granduca Leopoldo, è tortuosa e di ordinaria scadente praticabilità. Per non parlare d’inverno, con neve e ghiaccio.

L’ospedale ci sarebbe. In quello che un tempo era il capoluogo, ma da tempo non è più un ospedale. Nella sostanza è “chiuso”, anche se politica e istituzioni non hanno mai avuto il coraggio di chiuderlo sul serio e per tenerlo “aperto” si sono inventati una sigla (PIOT) che significa nulla, tranne ipocrisia.

Dal Covid-19 si doveva uscire tutti diversi. Tutti migliori. Tutti – così si diceva – avremmo appreso la lezione di quella che i furbini del linguaggio avrebbero poi chiamato transizione ecologica. I fondi europei che sarebbero piovuti con cifre elevate sarebbero dovuti servire non per piccoli cabotaggi più o meno localistici ma per favorire nuovi stili di vita, nuove forme di comunità, diverse modalità di affrontare le grandi sfide di un presente che in ogni caso deve riscoprire ambiente e natura.

Questa piccola vicenda locale – la mancanza di adeguati servizi socio sanitari per chi, nonostante tutto, si ostina a vivere lassù ma assai presto dovrà fare come tutti: andarsene via – potrebbe essere emblematica. Se non altro per la distanza che passa fra i convegni e la realtà, fra il bio a parole e la morte nei fatti, fra il green declamato e il gray accettato. Laddove gray – lo dico a me stesso – tradotto dall’inglese significa grigio. Un colore che, in latino, si può anche tradurre cinereus. Come le ceneri di qualcosa che c’era ma ora, da un pezzo, non c’è più.

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