C’è stato un momento – nel confronto organizzato sabato scorso a Firenze da Ucsi (Unione Cattolica Stampa Italiana) come corso formativo per giornalisti (già: quelli anche per prendere i mitici “crediti” …) – con un suo specifico grado di intensità. Peccato sia capitato alla fine e che, dunque, sia mancato il tempo per una riflessione ulteriore, nella riflessione già di per sé non banale che si era sviluppata sul “racconto giornalistico delle nuove povertà”.
Nelle fasi precedenti Adriano Fabris, docente di etica all’università di Pisa, in una videointervista curata da Antonelli Riccelli, presidente toscano Ucsi, aveva tentato un bilanciamento fra “possibilità” e “rischi” – e dunque anche fra “retorica” e “indifferenza” – dell’informazione su esclusione e inclusione sociale: introducendo, Fabris, un concetto (“empatia”) su cui, in seguito, si sarebbe sviluppata anche la parte finale della mattinata con un confronto fra i colleghi Serena Quercioli, Domenico Guarino e Fabio Figara.
Per Fabris, applicata al giornalismo su temi sociali, l’empatia è “uno dei modi per capire” (terreni e vicende così complesse), ma bisogna stare attenti – ecco il punto – a non “identificarsi” troppo con le storie raccontate (storie – quelle delle povertà, vecchie e nuove – che in effetti rischiano di “prosciugare” e “sconfortare” chi ci si approccia). E questo, semplicemente – ha chiuso Fabris – perché “il giornalista non dà soluzioni, fa solo domande”.
Frontiera ripresa, a fine mattina, dal collega Domenico Mugnaini con un invito, provocatorio, a non scordare la differenza fra “giornalisti” e “assistenti sociali”. Frontiera ripresa dallo stesso docente in un pezzo su “Toscana Oggi” sempre dedicato al racconto delle povertà (“Un buon giornalista, per favorire la partecipazione, deve a sua volta essere partecipe. E lo deve essere in maniera non scontata. E’ bene che sia corretto, e non tanto efficace a ogni costo. E’ bene che sia rispettoso delle situazioni e delle persone, e non tanto teso a scandalizzare e incuriosire. E’ bene che eviti, soprattutto, ogni retorica buonista. Il suo pubblico sarà il prima ad apprezzare”).
Notazioni interessanti anche alla vigilia di un bell’appuntamento (Pistoia, sabato 6 febbraio 2016 ore 15 presso il Seminario Vescovile di via Puccini 36) organizzato da Rete Radiè Resch di Antonio Vermigli con tre parrocchie pistoiesi (Santomato, San Piero Agliana, Stazione di Montale): un incontro non solo sui poveri e sulle povertà, ma anche sui meccanismi che generano povertà e poveri; un incontro organizzato nel ricordo di fratel Arturo Paoli; un incontro che arriva poco tempo dopo la diffusione di un rapporto (Oxfam) sulle povertà nel mondo.
62 persone (proprio così: 62 persone) sono – dice Oxfam – più ricche di 3,6 miliardi di esseri umani. Cosa che dovrebbe far gridare “vergogna”, e poi politiche adeguate, ma nella quale siamo un po’ tutti assuefatti (forse anche a causa di una informazione troppo poco “empatica”, non solo nel racconto delle povertà ma soprattutto in quello delle cause di questa tremenda forbice sempre più larga e ingiusta). Con il vescovo Fausto Tardelli si confronteranno Raffaele Luise, Antonietta Potente, Luigi Ciotti: un giornalista e scrittore, una suora e teologa, un prete di strada.
Chissà se qualcuno parlerà, a Pistoia, anche di giornalismo e di informazione su poveri e povertà. Chissà, in questo caso, se qualcuno ricorderà il concetto di un viaggiatore-giornalista (Ryszard Kapuściński, morto 9 anni fa) sul fatto che “questo” (quello del giornalista) a differenza di ciò che pensano in tanti, “non è un mestiere per cinici”.