A Prato c’è una piccola strada, intitolata a una santa e sempre intasata di traffico, sul retro di piazza Duomo, che può raccontare un certo disagio attraversato dalla città. Sensazione di sporcizia e abbandono, bandoni chiusi e negozietti all’apparenza equivoci, cartelli “vendesi” in linea con cartelli “affittasi”. Pieno centro storico. Fu da queste parti che “Le Iene“, con il loro stile, girarono uno dei pezzi su degrado e spaccio che più fece arrabbiare, ma anche riflettere, la comunità, complessa, che sta nella città un tempo definita “laniera”.
Mi è capitata di percorrerla questa mattina, via Santa Margerita, tornando in Mercatale dopo aver partecipato a un incontro, in Vescovado, con Luigi Accattoli, Andrea Fagioli e Gianni Rossi, per ricordare “Una città e due papi”: le visite a Prato di Giovanni Paolo II per il San Giuseppe 1986 (un giorno intero) e di Francesco (solo un’ora) il 10 novembre scorso. A pretesto un bel volume fotografico (“Papa Francesco incontra Prato”, 25 euro spesi bene) che riporta anche i discorsi tenuti quel giorno, partendo dallo straordinario testo – letto e integrato “in diretta” – di papa Bergoglio.
Discorso del papa tutto da rileggere, come da rileggere il documento (la “Lettera del mondo del lavoro a Sua Santità Papa Francesco“) sul presente, non semplice, della città che trent’anni prima, allora al culmine di uno “splendore” non privo di contraddizioni, aveva ricevuto un papa polacco molto attento, con parole anche allora forti, al rapporto fra uomo e lavoro. Allora però, nel 1986, il lavoro, a Prato e non solo, c’era.
Potenti le espressioni di Francesco cha proprio a Prato aprì il convegno della Chiesa italiana in svolgimento a Firenze. Parlando a tutti, credenti e non, invitò a indossare l’armatura della verità (“Non si può fondare nulla di buono sulle trame della menzogna o sulla mancanza di trasparenza“), sottolineò che ogni persona ha diritto a un “lavoro degno” (e questo concetto lo ripetè con forza, in modo da evidenziarlo bene), ricordò la tragedia dei cinesi morti due anni prima (“una tragedia dello sfruttamento e delle condizioni inumane di vita“), invitò tutti a combattere “il cancro della corruzione, il cancro dello sfruttamento umano e lavorativo e il veleno dell’illegalità“.
Giusta la notazione di Gianni Rossi, intervistato da Giancarlo Gisonni, sul fatto che un discorso come quello (“certo non di circostanza”) corra il rischio di restare relegato, come l’intera visita, a una dimensione solo “emozionale” quando, al contrario, avrebbe potuto – da novembre a oggi – “lasciarsi interrogare” molto di più da una comunità, ecclesiale e civile, cui i problemi non mancano. “In effetti un grande dibattito non s’è aperto” e questo è davvero un peccato. Se possibile da colmare (giusta la notazione del sindaco Biffoni sull’importanza di quel ringraziamento, fatto da Francesco ai pratesi, per “gli sforzi costanti” che Prato, nonostante tutto, sta facendo per contrastare “la cultura dell’indifferenza e dello scarto”. Idem il vescovo Agostinelli nel ricordare che quel giorno, il 10 novembre 2015, non voleva “essere fine a sé stesso”.
Può dunque essere che nella “post rossa” città di Prato (“Papa Woytjla scalda il cuore della rossa Prato“, così il “Corsera” intitolò la corrispondenza di Luigi Accattoli nel marzo 1986), può essere che il ricordo delle visite di due costruttori di ponti (“pontefici”) aiuti la comunità intera a ritrovarsi, magari con quel poetico augurio (“Ci sia del sole nella vostra vita”) usato da Giovanni Paolo II per salutare i giovani di allora? Può essere?
PS)- Due notazioni, ecclesiali, dal decano dei vaticanisti italiani. “Oggi con Francesco – ha detto Luigi Accattoli – ripartono le riforme attuative del Vaticano II che con Paolo VI, impaurito dal conflitto, si fermarono a metà. Oggi riprende il dibattito, e anche il conflitto. Vediamo cosa accade”. Per poi aggiungere, sul cambiamento nella Chiesa intera al tempo del ciclone Francesco, che “il cambiamento fa fatica a essere recepito nei livelli alti, ad esempio fra gli intellettuali, ma non fra il popolo”. E anche qui, come dire, non resta che vedere …