Se ne parla da tempo. Il presidente Conte, questa mattina a Firenze, ha dunque sostenuto che il possibile museo della lingua italiana dovrebbe aver sede proprio a Firenze, la città della Crusca, la patria dell’italiano (inteso come lingua).
Un annuncio che non stupisce. A stupire sarebbe stata la promessa fatta verso un’altra città. E a stupire sarebbe, soprattutto, la realizzazione concreta nell’arco di pochi anni. Vedremo.
Già è partita, a Firenze, la lotteria sugli spazi da proporre come sede. Spazi, prestigiosi, che in città non mancano. C’è da chiedersi se non sarebbe male pensare a un decentramento.
Un esempio, fra i tanti possibili. Chi è abituato a camminare nelle notevoli Cascine medicee, fra Poggio a Caiano e Prato, passa accanto al complesso, da tempo abbandonato, voluto da Lorenzo il Magnifico e progettato da Giuliano da Sangallo. Sul futuro di questi edifici sono aperte da decenni varie ipotesi per adesso tutte ferme. Perché non aggiungerci l’ipotesi di ospitare il possibile Museo della lingua italiana?
Di tale decentramento, utile anche per una decongestione “periferica” in una città fin troppo affollata, potrebbe avvalersi anche un altro luogo. Certo assai più periferico, rispetto a Firenze, ma assai bene legato alla lingua italiana. Chiaramente non come sede, ma forse come spazio collegato.
Intendo la montagna pistoiese: luogo molto citato in passato proprio con riferimento alla purezza del linguaggio lì parlato dal popolo; patria di Beatrice la pastora e di Policarpo Petrocchi; terra già studiata da Niccolò Tommaseo e da altri linguisti; piccoli paesi di una montagna, dove era di casa anche Massimo D’Azeglio genero di Alessandro Manzoni, per secoli lontana da viaggi e viaggiatori e, nel bene e nel male, dalle conseguenti contaminazioni anche linguistiche.
Su una copia del suo “L’italiano è meraviglioso. Come e perché dobbiamo salvare la nostra lingua” il presidente della Crusca, Claudio Marazzini, ebbe la bontà di farmi una dedica particolare. Lo avevo bloccato, dopo una presentazione, scherzando proprio sulle origini montanine. E lui fu assai gentile nel ricordare la “memoria delle ricerche di Tommaseo e del padre Giuliani che sulle montagne toscane trovarono le tracce della lingua di Boccaccio”. Da allora, di quella dedica, vado fiero.
Forse qualcosa di collegato al Museo della lingua italiana con sede a Firenze, o nei dintorni, si potrebbe davvero ipotizzare anche nella periferia, oggi sempre più abbandonata, di quei monti che ad occidente fanno corona alla città di Dante. Beatrice la pastora, che con la purezza e la franchezza delle sue parole stupiva i salotti fiorentini, lo meriterebbe. O no?