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Cultura

LE CONFESSIONI. E IL POTERE

Mauro BanchiniBy Mauro Banchini8 Maggio 2016Nessun commento7 Mins Read
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Lungi da me l’idea di scrivere una critica cinematografica. Sono, in genere, “critico” ma non ho competenze, specie tecniche, per esercitarmi in questo tipo di scrittura. Ma voglio comunque dire qualcosa su “Le confessioni”, film di Roberto Andò con un (per me) eccezionale Toni Servillo che ho visto ieri sera in una … affollatissima sala di paese dove, in tutto, eravamo … otto. Numero, vista la storia, non casuale.

Un po’ prevenuto dopo alcune critiche di quelle serie (film … più ambizioso che riuscito … esercizio bello ma freddo) confesso che “Le confessioni” a me ha convinto, pur rendendomi conto anche io che regista e sceneggiatore ci potevano risparmiare qualcosa e/o rendere meglio qualcos’altro in un’opera comunque impegnativa e difficile (un classico “complesso, da dibattiti”).

Per chi non conosce la storia: i “grandi” G8 dell’economia si ritrovano in un hotel di lusso, in Gernmania, sulle rive di un lago. Per affrontare una delle tante crisi dell’economia e della finanza globale, gli otto devono completare un loro piano – una “manovra” – con caratteristiche terribili: tanto terribili e segrete che, per l’intera durata del film, nessuno ce le dirà ma non sarà difficile intuire che le conseguenze cadrebbero su centinaia di milioni di esseri umani, ormai ridotti a “cose” ininfluenti, che si possono tranquillamente uccidere nel nome del dio mercato e, soprattutto, della dea finanza. Una sorta di “purificazione” – sostiene uno dei grandi – come quando si è costretti a dar fuoco a una foresta che, bruciando, servirà a far ripartire alberi nuovi. Tutti sono già d’accordo fra loro, gli otto ministri, anche se in precedenti riunioni qualcuno di loro (in particolare l’italiano) avevano espresso perplessità etiche: alla fine superate da un gioco di ricatti incrociati.

Il grande che guida, dirige il Fondo Monetario Internazionale: nel convocare gli altri al summit – e anche nel tentativo di dare fumo mediatico negli occhi a un’opinione pubblica che limita le proteste e che resta sullo sfondo – ha deciso di invitare anche alcuni personaggi “estranei” pagando profumatamente le loro prestazioni: un cantante, una scrittrice di favole per bambini. E un monaco certosino, raffinato intellettuale, abituato alla regola del silenzio con un riconosciuto rigore morale. Nel caso del monaco i soldi sono andati al monastero, così precisa il direttore nel tentativo – inutile – di condizionare il monaco,

Il “giallo” (già, perché trattasi anche di un giallo) inizia qui: con il grande direttore che decide di farsi confessare dal monaco, con il monaco che accetta, con la confessione che poi (ma lo scopriremo solo dopo) non diventa totale, con il grande che si limita a confessare “solo” di avere un cancro (cosa che gli altri colleghi non conoscono) e, soprattutto, con la morte improvvisa del grande e ricco economista presidente del FMI.

Tutti i sospetti cadono sul monaco ma tutti, soprattutto, vogliono sapere se lui, nel segreto del sacramento, ha ricevuto o no la confessione sul progetto che da lì a poco la loro potenza dovrebbe poter varare contro la debolezza dei più fragili. Il monaco, in realtà, non sa nulla ma finirà per esserne messo a conoscenza (guarda caso dalla crisi in cui entra il ministro italiano, che a sua volta chiede di essere confessato): e dalla faccia si intuisce quanto gravi, terribili, potrebbero essere le conseguenze sulla gente comune; gente che a lor signori interessa poco, visto che loro, nella sostanza servono, nientemeno che  … una belva.

Già perché c’è anche un cane: una bestia terribile, enorme, nera, dal nome duro (tedesco) che accompagna sempre il suo ministro incutendo terrore a tutti anche se, all’apparenza, pare addestrata solo per ringhiare e non per mordere. Ma a un certo punto la belva enorme impazzisce: comincia a girare sempre più frenetica attorno al tavolo del summit spaventando tutti (padrone compreso) e dando l’impressioni di voler comiciare ad azzannare sul serio anche loro. Solo il monaco, novello Francesco, riesce ad ammansirla.

E poi c’è uno strano personaggio: un vecchio, in preda a avanzato stadio di malattia senile. E’ il ricchissimo proprietario di tutto, dell’albergo e dei dintorni: ma si è dimenticato tutto comprese – spiega la giovane badante, aggiungendo che i figli del vecchio sono, per questo, sconvolti – le formule per aprire le chiavi da dove può governare le sue ricchezze.

C’è anche un registratore digitale: con questo aggeggio il monaco ha l’abitudine di registrare i suoni della natura, in particolare il canto degli uccellini. Qualcuno, fra gli otto e i loro Servizi, teme che il monaco abbia registrato la confessione del ministro poi morto e che, quindi, possa avere la prova del terribile piano che si sta ordendo ai danni del mondo.

Dimenticavo: c’è anche, collegata in videoconferenza, una misteriosa donna, di potere ancora più forte, che sembra dare ordini a tutti quanti e che tutti guardano con deferenza.

Il tutto si svolge in un fine settimana perché il lunedì riaprono le Borse e tutto deve essere definito per quel tipo di rito. Ma la morte, il suicidio, del direttore FMI ha scombussolato tutti i piani. E’ grazie al silenzio attivo del monaco, e anche ad una particolare alleanza fra due delle donne presenti nel summit, che il piano fallisce (o viene solo rinviato? Boh!) con il monaco che, davanti a tutti riuniti attorno alla bara con il morto, si lancia, senza tradire l’obbligo del silenzio, in una omelia dalla potente derivazione evangelica, come se fosse direttamente Papa Francesco a parlare: contro l’ipocrisia del potere, in favore della forza di quelli che invece il potere vorrebbe scartare o eliminare, in favore della sobrietà e di stili di vita “altri”, in favore dell’etica sul cinismo. Viene data ai media notizia del suicidio e della impossibilità di assumere decisioni. E tutti ripartono con il codazzo di macchine blu, di Servizi, di spioni. Riparte, ma a piedi, anche il monaco: con lui il cane nero a cui il monaco decide di cambiare nome (“ti chiamerai Bernardo”).

Facile, ritengo, intuire il simbolo della enorme belva nera: addestrata per impaurire i deboli ma a un certo punto impazzita e in rivolta pure contro i forti, la belva può certo rappresentare il potere di finanza e mercato. Addomesticabile, nell’ottica cristiana del film, attraverso la Parola di Cristo e, diciamo, la dottrina sociale della Chiesa.

E forse possibile – ma qui mi fermo – interpretare anche il significato del grande vecchio, padrone di tutto lo scenario ma in preda a una (autentica?) dimenticanza senile: grande vecchio che a un certo punto, e non è un dettaglio ma fa parte della storia, riconsegna al monaco quel registratorino, con i suoni della Natura, che era stato perso. Grande vecchio che mi sono immaginato come il Creatore: magari con il monaco nel ruolo del Figlio e con il contenuto registrato nel simbolo dello Spirito.

E sotto il potere: sempre meno trasparente e incontrollato, sempre più cinico e manipolatorio, democratico solo per antico ricordo, comunque chiuso alle aspettative delle persone comuni, di un popolo fatto non da cittadini ma ormai (tranne qualche innocua femen che dice no) solo da sudditi. Un potere a sua volta guidato da un misterioso superpotere che non si sa dove abiti e chi in realtà sia.

PS)- Ripeto: non sono un critico cinematografico. Ma questo lo avete capito bene da soli.

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