Che Dio, il Dio cristiano, si manifesti in primo luogo ai “semplici”, ai “piccoli”, lo abbiamo imparato, in anni più o meno lontani, nel catechismo. A giro per le sale italiane c’è ancora (credo per poco) un film, premiato a Cannes ma temo assai poco premiato dal pubblico, che ce lo ricorda in modo perfino commovente. Lazzaro felice, buona opera di quella regista italiana dal nome teutonico, è una sorta di fiaba che intenerisce e fa pensare.
Una fiaba, nella sua inattualità, di una attualità potente: ad esempio nel nostro rapporto con i migranti che ci danno tanto fastidio, con i deboli che è facile fregare, con gli spregiudicati che sempre se la cavano, con le ingiustizie, con le tante “marchesa Alfonsina De Luna” gelide e ipocrite, con i tanti ladri che circolano impuniti.
Un passaggio l’ho trovato davvero bello: è quando Lazzaro (il contadino semplice e felice, il ragazzo che tutti sfruttano e che a tutti dà lezioni di vita) si ferma (lui, ogni tanto, si blocca in un misterioso ascolto di “voci” che solo lui sente ed avverte); si ferma sulle note di una musica dolce e invitante: musica d’organo che proviene da una chiesa. La porta, di quella chiesa, è aperta. Dentro sono riunite, in preghiera al suono d’organo, alcune suore.
Lazzaro, lo straccione Lazzaro che un misterioso lupo aveva aiutato a “risorgere” da una caduta che lo aveva ucciso, convince gli altri straccioni suoi parenti (una scena davvero a mezzo tra Olmi e Zavattini) a entrare, intimiditi, in quella chiesa. Le suore se ne accorgono subito e una di loro si alza: va da Lazzaro e lo invita, bruscamente, a uscire.
Per lui e per gli altri straccioni non c’è spazio in chiesa, non c’è modo di ascoltare quel suono alto e altro. “Questa, mi dispiace, è una preghiera privata”, osa dire la religiosa (bene esemplificativa del cristianesimo di tanti fra noi) mentre da lassù l’organista, resosi conto del piccolo trambusto, aveva smesso di suonare.
Lazzaro e gli altri poveracci escono, a malincuore. La suora torna con le altre. L’organismo sta per ricominciare a suonare. Pigia sui tasti, ma la musica non esce. Anzi: la musica è proprio uscita, la musica sta da un’altra parte, segue, sulla strada, Lazzaro e i suoi parenti straccioni mentre, disperati, stanno tornando nel tugurio che è la loro casa.
Scena potente, commovente, educante. Almeno per chi, nell’Italia delle antiche e moderne ingiustizie (e il film di Alice Rohrwacher, con la sorella Alba e Nicoletta Braschi, ne esemplifica alcune) ha ancora voglia di educazione, di commozione. E di valori, controcorrente, forti.
PS)- Un’altra scena di evidente attualità che merita il film. La lotta fra poveri per offrirsi al maggior ribasso sul mercato del lavoro