Glifosato. Grosso modo ho imparato cos’è: sostanzialmente un veleno, una robaccia che avrà certo effetti positivi nel togliere erbacce dai vivai ma che in modo altrettanto certo fa male al bene comune; insieme a tante altre robacce simili inquina, avvelena, è considerato pericoloso per la salute degli esseri viventi.
Quanto al cippatino le mie conoscenze sono ancora più scarse: immagino che se con il termine cippato si identificano scaglie di alberi e arbusti, una roba definita con un diminutivo sia, quantomeno, analoga sia pure di proporzioni minori.
Non ho certo conoscenze tecniche per sapere se davvero questo cavolo di cippatino può sostituire il glifosato nella battaglia contro le erbe infestanti. Da frequentatore (per adesso “attivo” e non ancora “passivo”) di camposanti, prendo atto che in diverse tombe, quelle a terra e non coperte da lastre di marmo, vedo spargere una sorta di cippatino (ma forse è proprio lui) con l’obiettivo di impedire la crescita di quelle erbacce che i sassolini, ad esempio sulle tombe dei miei genitori, non riescono a contrastare (e tutte le volte che li vado a trovare, il mi’ babbo e la mi’ mamma, mi tocca alternare la solennità di una prece alla banalità di strappi a quelle erbe definite – ma sarà poi giusto? – in termini così spregiativi: erbacce).
Ogni tanto, nel pistoiese, si legge proprio quello: il cippatino prodotto sul nostro Appennino potrebbe sostituire il glifosato e le robacce analoghe nei vivai della pianura. Se ne occupa – leggo – un consorzio dal nome singolare (MoToRe) che ha sede in Campotizzoro, nella ex fabbrica dove per tanti decenni si sono prodotte munizioni per poi essere chiusa quando le munizioni hanno scoperto si potevano produrre con costi minori altrove.
E un politico – rileggo – ha presentato una mozione in Regione perché il governo nazionale venga sollecitato a sostenere questa sorta di scambio green: favorire la produzione di cippatino a servizio del vivaismo pistoiese. Pare che “primi risultati” di una sperimentazione in tal senso siano positivi. C’è da augurarselo.
Sarebbe, oltretutto, un modo molto concreto per confermare l’importanza di ciò che di norma, e in silenzio, accade sulle montagne. Laddove boschi e foreste – al massimo, quando accade e se accade – vengono valutati solo in termini di bellezza estetica. Scordandosi il grande ruolo degli alberi a servizio del bene comune, la produzione di ossigeno, la pulizia dell’aria, la lotta all’inquinamento. Tutta roba di cui in genere non si considera il valore, ma il cui valore anche economico si potrebbe contare, monetizzare, mettere sul piatto del rapporto montagne/pianure, periferie/città.
Stanno dando soldi alle città per agevolare la messa a dimora di piante. Ottimo. Si inventano grattacieli abbelliti dal verde di alberi e arbusti. Splendido. Un vescovo cattolico e un intellettuale miscredente, Domenico Pompili e Carli Petrini, sfidano l’Italia a piantare almeno 60 milioni di alberi: uno per abitante. Intrigante.
Ma ci sono luoghi, sempre più disabitati a parte le follie di quando fanno i funghi, che in silenzio aiutano la vita di tutti: nulla pretendono, boschi e foreste. Così come nulla, ormai, possono chiedere i pochi esseri umani che vivono nei paesi fra quei boschi e quelle foreste. Fra pochi anni non ci abiterà più nessuno.
O forse no: forse paesi oggi deserti torneranno a dimostrarsi appetibili. Magari, in tutto questo, potranno essere d’aiuto, chissà, pure quelle piccole scaglie di cippato, o cippatino. Umili e profumate tanto quanto puzzolente e chimico è il glifosato. Con tutte le altre porcherie analoghe.