Fra 15 anni ci saranno ancora funghi sulle montagne pistoiesi? E’ vero che le “fungaie” stanno finendo e che i funghi sono un prodotto in estinzione? Colpa del clima? Colpa del degrado nei boschi? Colpa di modalità, sempre meno rispettose, usate da raccoglitori barbari? Sarebbe giusto far pagare cifre maggiori rispetto alle attuali per chi raccoglie, in modo più o meno professionale, beni così poveri ma anche così preziosi? E perchè questi soldi non ritornano nel territorio che li ha originati?
Domande, queste e altre, su cui si sta discutendo molto in quattro comunità della montagna pistoiese (San Marcello e Piteglio, Abetone e Cutigliano) i cui Comuni stanno per unificarsi, in due, alla fine di un processo aggregativo favorito da Regione Toscana. Se ne sta discutendo anche per via di un questionario che due cittadini appassionati di funghi, boschi e montagna (lo scrittore Federico Pagliai con Gianluca Gavazzi e Daniele Pacelli) hanno avuto l’idea di costruire e diffondere fra residenti e visitatori occasionali.
Nei mesi scorsi l’idea ha avuto successo e di questionari, compilati, ne sono rientrati oltre 500. Ognuno con 14 domande a risposte multiple. E di risposte, in complesso, ne sono arrivate ben 7.600 che – commenta Pagliai – “è la temperatura su come le persone del posto, soprattutto loro, interpretano l’ambiente montano in una sorta di risveglio che sarebbe ingiusto trascurare”.
I dati (elaborati da Alice Iozzelli, ora vengono presentati in incontri pubblici) non hanno carattere scientifico né per quanto riguarda la rappresentatività né rispetto alle “sensazioni” che motivano le risposte. Un conto, è stato detto dagli organizzatori, sono le “sensazioni”: cosa diversa, in una questione comunque complessa, le evidenze scientifiche. Sarebbe dunque importante se una ricerca partecipata da gente che il bosco lo frequenta e lo ama, trovasse ora sponde scientifiche in organismi di ricerca capaci di confermare o meno quelle “sensazioni”.
Sensazioni che, in ogni caso, si dicono sicure sul fatto che la produzione fungina stia diminuendo e che ciò accada soprattutto per tre cause: la trascuratezza dei boschi, la mancanza di educazione ambientale, gli afflussi (“esagerati”) di raccoglitori spesso incapaci di capire che il sottobosco merita rispetto perché, altrimenti, punisce. Se i funghi li raccogli male, lì non torneranno.
Domande interessanti anche quelle sulla necessità di “consorzi” (per la raccolta e la tutela dei funghi), sulla insufficienza del personale adibito ai controlli, sul mantenimento nei territori montani dei proventi chiesti a chi raccoglie questi prodotti (compresi mirtilli e altri prodotti del sottobosco).
Nell’ambito dell’orgoglio montanino che caratterizza questa ricerca rispetto a una fra le risorse della montagna, in questo caso gustosa sotto l’aspetto culinario, interessante e utile è anche altro: esempio il controvalore – anche economico – prodotto, in termini di immissione di ossigeno nell’atmosfera, da boschi e foreste di una montagna così verde.
Se gli alberi sono la vera ricchezza comune (cioè appartenente a tutti) di un territorio sempre meno popolato da persone, sempre più privato da attività produttive, sempre più a rischio di abbandono, allora forse è arrivato il momento di studiare forme, anche economiche, capaci di … compensare. Quanto vale, in termini economici, un albero per la funzione di pulitore dell’aria che la natura gli ha assegnato? Quanto rendono, all’intera comunità le aree boscate e le foreste per quel tipo di servizio? Qual’è il prezzo giusto da restituire alle montagne?
A pianure affollate e inquinate, le montagne regalano ogni giorno tonnellate di ossigeno. Senza chiedere nulla in cambio. Forse è arrivato il momento di restituire qualcosa alle comunità che, nonostante tutto, ancora vivono in terre alte delle quali ci si ricorda solo in momenti di difficoltà. Ma, per questo, la buona volontà di questionari … dal basso non è sufficiente. Occorrono, come si dice in questi casi, scelte politiche: motivate, adeguate, lungimiranti. E ispirate alla ricerca di quella “cosa” che il pensiero unico in cui siamo immersi troppo spesso sminuisce: il bene comune. Perché l’aria, ripulita dagli alberi che formano boschi e foreste, non conosce padroni o padrini. E’ di tutti.