Elezioni senza manifesti e non solo. Fanno impressione i tanti cartelloni, destinati a ospitare manifesti elettorali ormai privi di senso, che troviamo sulle nostre strade. E’ certo un obbligo di legge e la loro dimensione (enorme) dimostra quanto grandi saranno le schede (Senato e Camera) che ci saranno consegnate il 4 marzo. Schede grandi per politica piccola, spazi enormi per speranze ridotte. A così pochi giorni dal voto quei grandi spazi di latta, così bene numerati, sono tutti vuoti.
Ma un’altra cosa colpisce nell’attesa delle elezioni: il fatto che siano scomparsi non solo i comizi ma anche gli incontri, le riunioni, i confronti, le tavole rotonde. Sarò sfortunato io, sarà piccolo il luogo dove vivo: ma alla vivacità nei luoghi virtuali (tv, radio ma soprattutto internet e social) corrisponde il silenzio nei luoghi reali: bar e circoli, parrocchie e case del popolo. Qualcosa, forse, possono vedere i frequentatori di qualche mercato settimanale, ma il tanto declamato “porta a porta” o non esiste o è limitato a pochi caseggiati.
Siamo sicuri che affidare la formazione del consenso politico soltanto al web e alla tv, dunque alle battute e agli slogan da venditori di materassi, serva per aumentare consapevolezza critica nei cittadini?
Inoltre. Nessuno, almeno per ora, ha spiegato e spiega i misteri tecnici di una legge elettorale destinata, con grandi probabilità, a essere nuovamente bollata – quando però sarà troppo tardi – come incostituzionale. E saranno davvero pochi – temo – gli elettori in grado di padroneggiare il loro voto nel misto fra maggioritario e proporzionale del “Rosatellum”.
Tutti, almeno fra chi continua ancora ad avere passione politica, guardiamo i sondaggi: ma è facile intuire che con una legge così balzana (nessuno sa come potrà funzionare) potranno esserci scostamenti anche forti fra sondaggi teorici e voto reale.
Come stupirsi dunque se milionate di cittadini rinunciano all’esercizio di quel particolare diritto/dovere chiamato “voto”? Sommando (dati Ministero Interni) gli elettori (dall’Italia e dall’Estero) delle tre ultime consultazioni nazionali (Camera 2013, Europee 2014, Referendum 2016) si ottiene un totale di quasi 152 milioni che scendono a neppure 99 milioni sommando quelli che in effetti andarono a votare. In percentuale fa il 65% che corrisponde a un 35% di cittadini (oltre 53 milioni nelle tre elezioni) che a votare proprio non sono andati.
A partiti politici (ciò che resta dei partiti: poco o nulla) e movimenti (ciò che vediamo: sconfortante) interessa assai poco se i cittadini a votare ci vanno o meno, quanti ci vanno e quanti no. I raffronti si faranno come sempre – e in percentuale, scordando subito i numeri veri – sui voti validi. In modo che tutto, all’apparenza, sembri normale. Ma forse tanto normale non è.
Dopo il 4 marzo che fare per restituire ai cittadini due parole (elezioni e politica) oggi così rovinate?