“Se nel 1991 Italia e Francia avevano grosso modo la stessa popolazione, nel 2050 continuando così le cose la Francia avrà 15 milioni di abitanti in più rispetto a noi”. Parola di Massimo Livi Bacci, demografo nonché accademico dei Lincei, presentando a Firenze un convegno (“Verso la metà del secolo: un’Italia più piccola?”) che si svolgerà nel pomeriggio di venerdì 24 novembre allo Stensen di Firenze (inizio ore 16:30) su iniziativa di Neodemos, associazione – fondata anche dallo stesso Livi Bacci – che compie 10 anni tutti dedicati “alla buona e seria divulgazione degli studi e delle analisi tra tendenze demografiche e società, economia e politica”.
Già nella presentazione non sono mancate riflessioni su una regressione demografica che avrà, per l’Italia, conseguenze forti. “A distanza di una sola generazione da oggi, l’Italia avrà molti milioni di abitanti in meno con conseguenze di grande rilievo: forte diminuzione di giovani e adulti, fortissimo aumento di popolazione anziana, uno stravolgimento della struttura per età mai avvenuto nella storia del Paese che metterà in tensione il sistema di welfare, frenerà la produttività, ridimensionerà il peso economico del Paese nel sistema internazionale“.
Servirebbero – è stato ricordato – almeno 2 figli per ciascuna donna ma in Italia siamo fermi ad appena 1,3 e già oggi questo porta a un calo di abitanti. Già adesso siamo meno rispetto a tre anni fa. Ma nel 2050, a metà secolo, il nostro Paese sarà popolato, ad esempio, da un numero di donne 90enni pari alle bambine di 10 anni. Scenari sconcertanti per una questione tutta politica – sottolinea Livi Bacci – per nulla sostenibile. Se non attraverso “una fortissima immigrazione per la quale, peraltro, non siamo preparati”.
L’associazione fiorentina ha presentato in Senato una ricerca (e-book scaricabile dal sito di Neodemos) proprio sulla questione (“ius soli/ius culturae”) che tanto sta facendo discutere: ma sta facendo discutere, ecco un punto, su basi irrazionali, prive di riscontri con la realtà.
Grazie anche a un certo modo di fare cattiva informazione siamo convinti (e spaventati) che in Italia siano arrivati chissà quanti immigrati: in realtà sono circa 5 milioni (fra l’8 e il 9% della popolazione) che, oltretutto, contribuiscono al PIL per circa il 10%. Detto in altre parole e con tutto il rispetto per Salvini (“che queste cose certo le sa bene”), l’Italia trae non poco vantaggio dagli immigrati anche se è giusto ricordare come a portare benefici non sia, genericamente, “ogni modello di immigrazione”.
La questione, da demografica, si fa tutta politica. Basti pensare al dramma, in molte zone già tale, nelle aree interne e montane; o a politiche familiari che non possono certo limitarsi a “bonus” episodici ma dovrebbero somigliare a quelle francesi o a quelle scandinave.
Per gestire problemi così complessi (compreso il fatto che comunità sempre più popolate da anziani tendono, in modo inevitabile, a essere sempre più chiuse, conservatrici, incapaci di tenere il ritmo di trasformazioni così rapide e radicali), occorre un ceto politico che, purtroppo, non somiglia a quello che oggi abbiamo. Ecco un altro problema. Di non poco conto.
Fra i partecipanti all’incontro di venerdì Ilvo Diamanti (“Immigrazione e insicurezza”), Emanuele Felice (“Popolazione e reddito in Italia”), Telmo Pievani (“L’Italia nell’antropocene: cambiamenti climatici e scenari di popolazione”), Silvana Salvini (“La popolazione italiana oggi e domani”). Gad Lerner condurrà una tavola rotonda finale con Romano Prodi, Chiara Saraceno, Giampiero Dalla Zuanna e Massimo Licvi Bacci.
Un contatore in tempo reale, sul sito della associazione, indica in quasi 61 milioni gli abitanti della penisola. Già oggi il rapporto fra giovani (0-19) e over sessantenni parla una lingua inequivocabile: i primi stazionano attorno agli 11 milioni mentre i secondi, di cui orgogliosamente faccio bene parte, arrivano a 17 milioni e mezzo.