Questione certo antica, ma sempre attuale all’inizio di ogni anno. Il “canone” (termine che significa “corresponsione periodica di una somma di denaro per l’utilizzo di un bene o di un servizio“) che adesso pagheremo con la bolletta ENEL, è imposta per il possesso di un apparecchio televisivo oppure è imposta per il canone RAI?
Finchè il legislatore non chiarirà quella che oggi, e non solo da oggi, è una confusione oggettiva (e non solo terminologica), ogni dubbio sarà legittimo. Una cosa è pagare per il semplice possesso di un apparecchio televisivo (sul quale, ovviamente, si possono vedere non solo i programmi RAI ma anche quelli di tutti gli altri competitori. Ma allora perchè questo “canone” se lo prende solo la RAI?) e cosa diversa è pagare per il servizio pubblico radiotelevisivo che, in Italia, significa RAI (ma in questo caso perchè l’imposta viene fatta risalire al mero “possesso di un apparecchio televisivo”?).
Cosa aspetta il Parlamento a fare chiarezza, riformandola, su una norma che risale al 1938, a un’era cioè più che preistorica rispetto alle galoppanti trasformazioni, avvenute e in corso, nel sistema mediatico? Nessuno si accorge come siano confuse e contraddittorie – in questo senso – le informazioni presenti sul sito RAI dove la stessa imposta viene definita almeno in tre modi diversi (canone Rai, canone tv, canone televisivo)?
A scanso di equivoci aggiungo che io sono uno fra quelli che non ha bisogno di essere convinto sulla necessità di pagare un “canone” per contribuire al servizio radiotelevisivo pubblico (possibilmente di qualità).