Questa storia, la inesistente “squalifica” contro Zeno Colò, mi ha intrigato. Devo tutto a un piccolo libro curato dall’abetonese Clarissa Tonarelli (un tempo, tanti anni fa, eravamo compagni di scuola) presentato giorni fa a Cutigliano quando stava per iniziare l’anno, il 2020, in cui quest’uomo straordinario di anni ne avrebbe compiuti cento.
“Zeno Colò uomo d’altri tempi” si intitola il libro di Clarissa. Riporta “ricordi ed emozioni” su diversi aspetti del campione di uno sci che non esiste più da un pezzo: maestro di sci e allenatore federale, boscaiolo per tutta la vita e promotore di impianti sportivi nella sua Abetone.
Di Zeno sono evidenziati non tanto i record sportivi, ma i tratti umani con particolare riferimento a quella spigolosità di carattere, tipica di tanti fra noi montanini, che può essere stata la fonte di qualche problema. Non mancano, nel libro, due aspetti local e global: l’aver dato il suo nome ad una associazione locale che si batteva, e continua a battersi, per le sorti del piccolo ospedale, a San Marcello Pistoiese, dove Zeno finì i suoi giorni terreni. E l’aver dato il suo nome – scritto senza accento finale in omaggio alle regole di questo settore e preceduto da un numero: 58709 – a un asteroide: lui, uomo della velocità, viaggia lassù, sugli astri, in un pianetino che corre velocissimo, fra Marte e Giove, scoperto nel 1998 dall’Osservatorio Astrofisico di Gavinana.
Come tutti, sapevo che la carriera di Zeno fu interrotta negli anni Cinquanta, quando lui nonostante un’età già avanzata era ancora il più forte di tutti. Venne “squalificato” – questo sapevo – perché accusato di aver ricevuto denaro avendo legato il suo nome a due marchi di abbigliamento sportivo. Vista con gli occhi di un oggi che da tempo ha legato in modo indissolubile sport e sponsor, l’accusa contro Zeno (di essere un “professionista”) è una evidente assurdità.
Sapevo questo, ma non avevo mai approfondito ciò che adesso, con il libro di Clarissa e con altri scritti nel frattempo consultati, ho capito meglio. Quella “squalifica”, nel 1954, non c’è mai stata: a Zeno fu sì impedita la partecipazione ai Campionati Mondiali ad Aare, in Svezia, ma solo in base a una comunicazione fatta “a voce”. Mai nulla di scritto, da parte di una Federazione (italiana o internazionale) di sci. Mai nulla di formalizzato. Mai nulla di ufficiale.
Lui, lo sciatore boscaiolo inventore della posizione a uovo, l’uomo allora più veloce al mondo nella discesa libera, il campione tanto rude quanto pulito, fu sacrificato anche perché l’Italia potesse poi avere le Olimpiadi 1960. E fu “squalificato” con l’accusa di “professionismo”, cioè di essere legato con contratti pubblicitari ad aziende private, quando altri campioni facevano la stessa cosa e mai ricevettero sanzioni ma, al contrario, vennero difesi dalle loro Federazioni nazionali.
C’è di più: non risultano contratti formali fra Zeno e le aziende che per loro esigenze di marketing sfruttarono il nome di un campione che solo qualche anno prima aveva rinunciato a proventi assai più consistenti che ad Aspen gli avrebbero concesso se lui fosse rimasto in USA. Ma lui preferì tornare subito nella sua terra.
L’aspetto più incredibile è, appunto, l’assenza di un atto formale che decretasse la famosa “squalifica” ufficiale di Zeno. Dunque: lui fu sì “escluso” (e la sua carriera finì) ma non “squalificato”.
Leggo anche che la “squalifica” venne poi revocata 35 anni dopo: dalla FISI (Federazione Italiana Sport Invernali) nel 1989, pochi anni prima della morte (1993) di Zeno: quando gli era stato diagnosticato un tumore al polmone e lui, in difficoltà economica nel pagarsi alcune cure, fu aiutato dalla “legge Bacchelli” e accettò quei soldi con una dignità che gli fece, e gli fa tuttora, onore.
Zeno Colò io non l’ho mai conosciuto. L’ho solo incrociato, fra San Marcello e Abetone, qualche volta. Non mi sono mai voluto presentare, avendo sempre una maledetta paura di infastidire uno che mi appariva come un gigante. Non ho mai messo piede in uno sci.
Conosco assai poco l’Abetone e le sue problematiche di paesino che diventò importante, e anche un po’ ricco, proprio grazie a quest’uomo scontrosamente veloce (o velocemente scontroso) ma capace di spandere attorno a sé odore di semplicità e pulizia morale. Non mi intendo di sci.
Eppure questo aspetto, nella vicenda di Zeno, mi ha colpito. Nulla di nuovo, evidentemente, per chi la storia già la conosceva. Ma a me, che quando facevo il consigliere comunale amavo spaccare un capello in quattro, resta un dubbio: come cavolo avrà fatto nel 1989 la FISI a revocare la “squalifica” di 35 anni prima se quella “squalifica” mai era stata decretata in modo ufficiale.
A Zeno la squalifica “fu solo comunicata a voce”. Lo disse lui stesso, in una intervista. “Non ho mai ricevuto alcun documento … Di scritto non ho mai visto un rigo e non so neppure chi mi abbia squalificato”. Parole amare, riportate da Clarissa che chiude quel capitolo affiancando la storia di Zeno a quella di Marco Pantani “eliminato in maniera brusca e plateale, all’apice della sua sfolgorante carriera, capro espiatorio di problemi legati alle performance atletiche e ancora oggi non risolti”.
Sarebbe utile se qualcuno, certo più addentro di me, riuscisse finalmente a trovare, se mai esiste, il foglio formale con la “squalifica” decretata nel 1954 contro Zeno Colò. E poi, dimostrata la sua inesistenza, sarebbe anche utile, magari in questo 2020, se la “riparazione” di 35 anni fa fosse accompagnata da un atto formale di scuse. Italiano e internazionale. Scuse nei confronti del boscaiolo che scendeva a 160 km orari con i calzoni alla zuava e senza casco.