Sulle montagne dove sono nato vogliono costruire una funivia. Siamo in Appennino. In quello tosco emiliano. Sui crinali che uniscono Pistoia con Bologna e Modena. Per il nuovo impianto lo Stato (cioè tutti noi) pare voglia usare 15/16 milioni di euro. Che non è poco. Anzi, è parecchio.
Il nuovo impianto toscano collegherebbe Doganaccia (raggiungibile in funivia da un paese-gioiello: Cutigliano). La collegherebbe non con l’impianto che sale dal versante emiliano verso il Corno alle Scale. Doganaccia sarebbe collegata soltanto con il lago Scaffaiolo. Che è – per chi non lo conosce – una piccola pozza d’acqua piena di enorme fascino. Cantata da Boccaccio. Sfondo per Pupi Avati. Luogo del cuore per chi da quelle parti e nato. Ma non solo.
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Siamo comunque sotto i 2 mila metri di altezza. Esposti verso sud. Con ciò che tutti noi, da tempo, sappiamo circa l’inevitabile (purtroppo) crisi ambientale e climatica.
In ogni caso quelle sono zone che dovrebbero essere, dallo Stato, super protette. Zone di forte biodiversità. Zone dove il vento ha raggiunto il record italiano (una raffica da ben 238 km/h) e dove (tutti lo sanno bene) il vento soffia sempre fortissimo: fino a 170/180 km/h.
Insomma l’impianto nuovo (se mai si farà) in ogni stagione dell’anno porterebbe turisti non da un impianto all’altro, ma dall’impianto toscano soltanto fino a sotto lo Scaffaiolo: a una distanza di almeno 5/600 metri dall’impianto emiliano.
Chi conosce quelle zone immagina bene ciò che le opere (piloni, strade di accompagnanento, stazione di arrivo, il detto e il non detto …) potrebbero comportare per un ambiente facilmente affrontabile a piedi, sull’antico sentiero, visto che fra la partenza del nuovo impianto e l’arrivo, il dislivello sarebbe davvero assai poco elevato.

Ci sarebbe poi da aspettarsi anche qualche altra nuova costruzione impattante, visto che l’esistente piccolo (affascinante) rifugio dello Scaffaiolo non sarebbe davvero capace di dare ospitalità alle migliaia di turisti (in scarponi e infradito) che l’operazione spera di coinvolgere in ogni stagione dell’anno. Arrivati lì che fanno?
Da notare che basterebbe ricostruire il tratto di funivia (da decenni non più esistente) che collegava Doganaccia con Croce Arcana per portare chiunque, comodamente, in quota: addirittura sul crinale. Da lì raggiungere a piedi lo Scaffaiolo è uno scherzo. Perfino per uno come me, con la mia età, i miei problemi di cuore e di affaticamento.
E allora a che servirebbe spendere 15/16 (magari anche più) milioni di euro (soldi pubblici) per un tratto di nuova funivia con quel tipo di caratteristiche? Davvero è logico, razionale, spenderli perchè tanto ci sono? Qui casca l’asino.
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Nel senso che su questo gli animi si sono accesi. Lo scontro è radicale: da una parte il mondo “ambientalista” che nega una qualunque utilità per il nuovo impianto e difende le ragioni della biodiversità da non rovinare, del paesaggio da non toccare, della montagna da rispettare; dall’altra parte il modo “imprenditorialista” che ribatte sostenendo come sarebbe proprio quell’impianto a dare ossigeno all’economia locale, a evitare lo spopolamento di quella nostra montagna, a non rovinare nulla, a consentire la fruizione del bello naturale anche a soggetti fragili.
A mancare, personalmente, trovo sia l’equilibrio, la razionalità, la visione. La capacità di riflettere sul fatto che ambiente e lavoro non sono in contraddizione perchè l’ambiente, se rispettato, può dare non solo romanticismo ma anche lavoro ed economia. Intuendo che se l’ambiente viene offeso, alla fine calerà anche lo sperato ritorno economico.
E’ stato perfino tentato un cosiddetto “processo partecipativo” che però pare abbia coinvolto assai poco (e forse in modo troppo frettoloso, troppo compromesso da esigenze politiche) le genti di montagna: abitato soprattutto da persone venute da fuori.
Non ho partecipato (anche a causa di dubbi, personali e dunque discutibili, su tali strumenti), ma seguo la polemica. E non mi sfuggono, pure avendo un’opinione assai netta circa la debolezza e la contraddittorietà di quella soluzione, le ragioni di chi, in modo non talebano, la sostiene e ne difende le ragioni. Conosco, e pure stimo, persone per le quali questa nuova funivia avrebbe molto da dire in favore dell’economia locale. Ma questo tipo di ragionamento, proprio non mi convince.

Non toccherà a me decidere e non ho ancora capito chi avrà l’ultima parola. Vedo grandi spaccature ovunque. Perfino in chi è vicino al potere politico che unisce le due Regioni confinanti. Ho amici, in certi casi anche fraterni, in entrambe le fazioni contrapposte.
Tardo a capire se davvero chi ha il potere di farlo, farà iniziare lavori così impattanti e così problematici. Proprio non credo sia quello il modo giusto, moderno, per aiutare non solo il bene comune ma anche le giuste ragioni di imprenditori locali (commercianti, albergatori, ristoratori, artigiani, contadini, allevatori, boscaioli, perfino addetti all’impianto …) e per riportare vita a una montagna sempre più desertificata.
Altro, credo, ci vorrebbe. Partendo da un ammodernamento della viabilità stradale dalla pianura verso questa parte di montagna toscana (una viabilità ferma alla fine del Settecento e ai tanti convegni fatti nel secolo scorso) e partendo dalle tante opportunità di “nuova vita” che il mutamento degli stili di vita declinato con lo sviluppo tecnologico e con la crisi climatica potrebbero portare se solo ci fosse un ceto politico (ma anche economico e intellettuale) capace di visione moderna.
Sbaglierò, ma proprio non vedo come quel tipo di turismo (ammesso possa esistere) riesca a dare apprezzabili ritorni economici sul territorio. Specie una volta compromesso, addomesticato, banalizzato quel bene primario (l’ambiente) che lassù ha ancora un pregio elevato.
Già in passato, anche da noi, sono stati fatti non pochi errori pensando che tonnellate di cemento potessero valorizzare ciò che molti di noi chiamano “il Creato”. Ma gli anni Sessanta del millennio scorso sono lontani e qualche lezione dovremmo pure averla imparata. Oggi le opportunità arrivano dal rispetto per la natura, non da tentativi di offenderla.

Nella razionalità (che è anche equilibrio, capacità reciproca di capire le ragioni dell’altro, assenza di talebanesimo, uso della ragion critica) oggi troppo mancante attorno a questa frontiera, troverei logici tre ambiti di riflessioni che, al contrario, vedo per nulla praticati.
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Il primo ha a che fare con la nostra Costituzione. Nel silenzio generale, il 2022 ha visto una sua significativa modifica. Di stampo (diciamo così, gossolanamente) “ambientalista“. Sono stati modificati due articoli: il 9 e il 41.
Nel 9 è stato introdotto nuovo comma: per riconoscere – nell’ambito dei principi fondamentali – il principio che “tutela l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni“. Le ultime quattro parole sono fondamentali e innovative. Non possiamo decidere solo per noi, ma dobbiamo considerare chi verrà dopo di noi: nipoti, loro figli, figli dei loro figli. Davvero siamo sicuri che questo nuovo impianto supererebbe il vaglio di costituzionalità in base al nuovo 9?
C’è poi il nuovo articolo 41. Quello sulla libertà dell’iniziativa economica privata. Già i padri costituenti indicarono che il profitto privato non può svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana“. Adesso hanno aggiunto altri due ambiti davanti ai quali il pur giusto profitto privato deve arretrare: la salute e, appunto, l’ambiente. Supererebbe il vaglio di costituzionalità, il nuovo impianto, anche con riferimento asl nuovo articolo 41? Oppure possiamo far finta di nulla?
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Il secondo ambito ci riflessione ce lo ha da poco offerto Papa Francesco. 8 anni dopo la sua (abbastanza inascoltata – anche dai cattolici, soprattutto da loro – enciclica Laudato sì. Da poche settimane è uscito un nuovo testo. Si intitola, in un latino facile “Laudate deum“. E’ indirizzato “a tutte le persone di buona volontà sulla crisi climatica“. Leggerlo fa bene.
C’è un paragrafo (il 29: “pungiglione etico“) molto interessante. Riguarda il rapporto tra economia e potere, informazione e marketing, progetti dal forte impatto e ambiente, creazione del consenso immediato e conseguenze sul futuro dei figli. Tutto da leggere. E da meditare.
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Il terzo ambito l’ho scoperto in queste ore. Un notevole intervento al congresso nazionale CAI (Roma 25-26 novembre) di don Luigi Ciotti. Il fondatore di “Libera contro le mafie“, che da decenni vive sotto scorta per i troppi piedi potenti da lui pestati, montanaro del Cadore e orgoglioso di esserlo ha parlato con la sua consueta chiarezza.

Qui un articolo che ne sintetizza i concetti. Ha parlato, motivandone l’inutilità, proprio di “nuovi impianti di risalita“. E ha invitato a prestare attenzione non solo alle speculazioni ma anche “alle mafie che riciclano in montagna“.
Se certi allarmi li lancia uno come don Ciotti, tutti quanti – partendo da chi è in perfetta buona fede – abbiamo il dovere di doverci sentire allarmati, allertati. Anche laddove, come in questo nostro caso, nulla fa certo pensare che la mafia abbia messo gli occhi qui. Il tema è generale: la perplessità davanti a nuovo cemento sulle nostre montagne. E la necessità che tutto, specie quando i milioni in ballo sono tanti, sia trasparente al massimo.
Ecco cosa mi piacerebbe, lassù, nella parte alta del Comune dove 71 anni fa sono nato. Che il confronto (possibilmente pacato e razionale) sul nuovo impianto Doganaccia-Scaffaiolo volasse più in alto rispetto a certe secche e prevedibili contrapposizioni. Tenendo di buon conto, o almeno considerando, quel triplice allarme che mi sono permesso di evidenziare: quello che viene dalla Costituzione, quello che che arriva da Oltre Tevere, quello su cui ci interroga un prete coraggioso. La diversità di opinioni arricchisce. Specie se porta a un confronto pacato, razionale, lucido.