Faranno, dunque, la terza corsia sulla Firenze-Mare. La faranno iniziando dal tratto Firenze-Pistoia, con una spesa inizialmente stimata in 3 miliardi (vedremo poi, alla fine, quanto sarà speso in più). La faranno ritenendola “grande opera pubblica” di interesse collettivo. La faranno a prescindere dalle opposizioni che, nel frattempo, sono insorte da parte di chi non la ritiene di importanza così fondamentale sostenendo, magari, che sarebbero utili altre “opere” altrettanto “pubbliche” anche se un po’ meno “grandi”. Ad esempio in montagna.
Giorni fa un bravo collega ha già scritto, sulla sua testata on-line, un ottimo pezzo sulle difficoltà che si incontrano, nonostante alcuni recenti “aggiustamenti”, percorrendo la (oggi regionale) strada “modenese” dal Ponte Calcaiola verso l’Abetone.
Un pezzo, quello di Paolo Vannini su “La voce della Montagna”, tutto da leggere e al quale mi permetto di aggiungere solo una piccola chiosa: la totale incapacità, nell’ultimo mezzo secolo, di “aggiustare” quel piccolo tratto – fra Cireglio e Le Piastre – che crollò sotto una antica frana nel febbraio del mitico Sessantotto. Nell’emergenza di quei lontani giorni (il collegamento tra la montagna e la città era cancellato per colpa di quella frana) venne realizzata, in tempi record, una variante a monte (con la famosa “curva dell’ingegnere”) che doveva essere … provvisoria ma che in realtà è ancora lì a perenne testimonianza di quanto offensivi possono essere certi comportamenti quando sono inflitti ai più deboli (in questo caso ai montanini), a quelli che sono troppo pochi, numericamente, per contare qualcosa. A quelli che, così pochi, ormai neppure hanno quasi più voglia di protestare.
In mezzo secolo di opportunità, nessuno ha mai pensato che, forse, era giusto (ma anche saggio) intervenire su quel tratto di antica strada ripristinando il percorso originario a valle e tagliando quei due tornanti a monte. Un intervento minimo. Neppure quello.
Sabato scorso, nella biblioteca San Giorgio di Pistoia (pessima l’acustica) alcuni montanini irriducibili hanno presentato, con il pretesto di un volume di vecchie cartoline curato come gli altri da Roberto Prioreschi, l’ennesimo grido di dolore da parte di una montagna inascoltata che però, se solo ci fosse un minimo di quella che un tempo si chiamava “volontà politica”, avrebbe in sé, nelle sue grandi risorse naturali, grandi chances per una ripresa utile non solo per chi in montagna continua a vivere ma anche per tutti gli altri.
E non mancano, anche nei profili dei social, foto emblematiche della inesistente manutenzione che sta distruggendo il reticolo di strade montane: esempio quella che da San Marcello porta a Spignana e poi a Lizzano in un contesto naturale di notevole bellezza.
Dunque: i 3 (vedremo alla fine quanti) miliardi per costruire la terza corsia autostradale in una pianura ormai completamente urbanizzata nonché iper-inquinata che forse ci vorrebbe già la quarta di corsie, è facile trovarli. A essere impossibile, al contrario, è il reperimento di soldi (dovessero pure contarsi in un ordine equivalente) per migliorare la viabilità di accesso a una zona ormai quasi definitivamente spopolata e, dunque, per restituire vita a quella zona contrastando la folle politica che costringe tutti quanti ad abbandonare le zone interne per “vivere” in zone già iper-affollate. Troppo pochi quelli che abitano in montagna, troppo facile – quei pochi – prenderli in giro: ma, soprattutto, troppo scarsa la capacità del ceto politico di guardare “oltre”, per comprendere come investire da subito per la montagna (e investire in modo giusto, rispettoso di un ambiente che è la vera ricchezza per tutti noi) sarebbe assai più importante e innovativo che buttare soldi per certe “grandi” opere pubbliche già destinate in partenza a risultare insufficienti se a cambiare non sarà l’attuale modello di sviluppo.
Evidente e perfino ovvio: la viabilità è solo un tassello rispetto a un problema gigantesco (lo spopolamento delle aree montane) che ricomprende tanti altri aspetti. Giusto. Ma quanto tempo ancora dovrà passare perché si comprenda come riportare vita in determinate zone, oggi abbandonate, non sarebbe battaglia per retroguardie nostalgiche ma impegno per un futuro di sostenibilità e di ben-essere comune?
“Cura la montagna se vuoi salvare il piano“, scriveva Virgilio qualche decina di anni prima della nascita di Cristo. Temo che queste parole, scontate come quelle dei baci-perugina ma vere come è molto facile capire, il bravo architetto Prioreschi, con gli ottimi suoi compagni di battaglie donchisciottesche, continuerà per chissà quanto a metterle in apertura dei suoi volumi su una montagna che un tempo c’era. (E potrebbe tornare a esserci, ma il condizionale è obbligatorio, e forse definitivo, perché nei sondaggi di una politica da tempo ridotta a sondaggio, chi vive in montagna pesa davvero poco).