Giusto accompagnare gli studenti nei campi di sterminio nazista per una esperienza di cui mantenere Memoria e da cui imparare legalità e democrazia. Giusto, davanti allo sterminio in atto a Gaza, non tacere: una iniziativa, sabato 24 maggio, sui sudari di Gaza. E poi un sussurro su questioni altre, locali: due ricorsi al TAR: sulla sede PM presa in affitto e sull’amianto bruciato due anni fa ma ancora presente come “pericolo concreto e attuale”. Immancabili, infine, due buffe “novelle” poggesi: su una piazza e su un ponte che, tanto, la colpa è sempre di chi c’era prima. (mb)

TRE STUDENTI POGGESI A MAUTHAUSEN – Una esperienza forte quella che tre giovani poggesi hanno potuto fare, in Austria, con il viaggio della memoria in alcuni campi di sterminio nazista (fra questi Mauthausen ed Ebensee). Non certo una gita di piacere o una gita in famiglia.
Questi i nomi dei tre studenti (scuola media “Mazzei”) che a gennaio avevano vinto il concorso per il “giorno della Memoria”: Lorenzo Marcucci (terza A), Tommaso Tarchi (terza B), Chiara Papucci (terza F). I nomi si trovano sul sito della scuola. Il Comune di Poggio, a differenza di tutti gli altri Comuni coinvolti, non ha dato grande risalto ai nomi: usciti solo in delibera.
Il premio consisteva nel viaggio in Austria offerto dal Comune che – e bene ha fatto, sulla scia di quanto sempre è stato fatto – ha stanziato la cifra necessaria (3.510 euro) per pagare viaggio e soggiorno ai tre studenti e a due accompagnatori.
Ad accompagnare sono stati un docente (Davide Casagrande) e una consigliera comunale (Chiara Guazzini). Una delle tre vincitrici è stata poi sostituita con un’altra: Ginevra Spinelli.
Il viaggio è stato organizzato dalla sezione pratese ANED (associazione fra gli ex deportati nei campi nazisti) in collaborazione con il Museo Deportazione e Resistenza di Prato nella cui fondazione (ma su questo torneremo) è stata da poco nominata la consigliera Guazzini.
“Una esperienza che ti cambia, una esperienza forte che ha toccato il cuore dei ragazzi” ha bene osservato Chiara Guazzini accompagnando i tre giovani poggesi: Ginevra Spinelli, Lorenzo Marcucci e Tommaso Tarchi (foto dal profilo social del Comune).

SEDE PM: RICORSO AL TAR – Ancora sulla sede (molto chiacchierata) della Polizia Municipale. Un evergreen su cui è bene ogni tanto tornare. Nulla ancora si sa in merito al ricorso presentato al TAR Toscana dalla CNA pratese.
Ad aver presentato un duro ricorso al TAR contestando un atto della giunta Palandri sulla scelta di collocare la PM in un edificio preso non in proprietà ma in affitto (2.800 euro ogni mese: 33.600 euro all’anno, con un canone aggiornabile già da subito), è stata, un anno fa, la CNA.
Come noto la precedente amministrazione aveva definito, con CNA, l’acquisto di un immobile CNA. La cifra aveva tutti i crismi della regolarità. La sede era perfetta per la PM, così aveva certificato il comandante di allora. Tutto era quasi pronto. Ma la nuova Giunta, per motivi mai del tutto bene chiariti, fece le bizze e si oppose.
Dando l’impressione di non aver fatto i conti giusti con la convenienza economica e adottando atti poi annullati, il nuovo sindaco rinunciò all’acquisto e scelse un affitto: il grande piano terra, con seminterrato, dell’ex Cassa Risparmio Prato.

SEDE PM: CHI AVRA’ RAGIONE? – Da qui la decisione di CNA: ricorrere al TAR sentendosi danneggiata e avendo già speso soldi suoi per adeguare il suo immobile alle nuove funzioni.
Per difendersi, Palandri ha dovuto incaricare un legale (stanziando già, nell’agosto 2024, una prima cifra: 9.500 euro a cui vanno aggiunti altri 5 mila euro per un incarico legale precedente). Sfioriamo già i primi 15 mila euro.
Da notare che se fosse andata avanti la linea precedente (l’acquisto dell’immobile: 248 mila euro) il Comune avrebbe preso un mutuo, a tasso agevolato, con Cassa Depositi e Prestiti. Operazione logica e sostenibile.
In pochi anni, avendo fin da subito un immobile in proprietà, l’operazione sarebbe stata ammortizzata rispetto ai 33.600 euro che ogni anno il Comune spende, e spenderà per sempre, in affitto.
Questo senza contare i soldi (decine di migliaia di euro) che il Comune, in caso di condanna, rischia di dover pagare a CNA per danno procurato. Oltre alle spese legali. Dal sito TAR si comprende che la vicenda è ancora attiva. Pende sul collo della giunta. Come andrà a finire? Chi vincerà: Comune o CNA? E a quali condizioni?

AMIANTO IN LOMBARDA: RICORSO AL TAR – E sempre al TAR Toscana un altro ricorso, contro il Comune, attende udienza: doveva esserci a metà aprile ma è slittata al 18 novembre. Riguarda un grande incendio che il 30 luglio 2023 devastò due capannoni in Lombarda.
Ad aver presentato ricorso contro il Comune, per una ordinanza emessa dal sindaco nel giugno 2024, è stata una azienda coinvolta nell’incendio.
Lo scorso febbraio il Comune ha affidato l’assistenza legale a un avvocato impegnando i primi 6 mila euro. Oggi è stata pubblicata una seconda determina con una ulteriore spese (altri 2.500 euro) a favore del legale.
La questione è resa pesante da una circostanza: in quel lontano incendio bruciarono, liberandosi in cielo, anche parti di amianto, contenute nella copertura. Roba potenzialmente cancerogena.
Una prima ordinanza Palandri dovette emetterla il 4 agosto 2023, a pochi giorni dall’incendio. Obbligò i proprietari e gli esercenti ad adottare tutte le misure necessarie per tutelare la salute pubblica.
Ma quasi un anno dopo, e sempre per tutelare la salute pubblica, lo stesso Palandri emise un’altra ordinanza simile. E’ da presumere che quei lavori, nel primo anno, non fossero stati eseguiti. Il motivo, se così è, non è chiaro. Ed è questo l’atto per cui il Comune è stato portato al TAR.

AMIANTO IN LOMBARDA: “PERICOLO CONCRETO E ATTUALE” – Ma non finisce qui: lo scorso marzo il sindaco ha emesso una terza ordinanza, a integrazione di quella dell’anno prima.
Pure questa contestata al TAR dalla stessa ditta. In questo atto, a quasi due anni dall’incendio in cui bruciò anche amianto, si leggono frasi inquietanti.
In pratica – scrive il sindaco Palandri appena due mesi fa dopo rapporti ARPAT e ASL – “persiste il pericolo concreto e attuale che impone di provvedere in via d’urgenza per porre rimedio concreto a tutela della pubblica incolumità per la salute pubblica, imponendo la rimozione del materiale costituito dai rifiuti speciali pericolosi”.
Dopo così tanto tempo rispetto all’incendio del luglio 2023, lo stesso sindaco aggiunge un’altra frase bomba: “la dispersione di fibre libere di amianto aumenta con l’avanzare della stagione estiva”.
Una situazione che avrebbe meritato, da parte del Comune, una immediata spiegazione per rassicurare i cittadini. Quelle sue parole nelle tre ordinanze, così gravi ma così trascurate, lasciano molte domande aperte.

AMIANTO IN LOMBARDA: DOMANDE IN ATTESA – Perché la prima ordinanza non venne fatta rispettare? Perché la seconda ordinanza è stata impugnata dal soggetto privato?
Come rendere credibile, a quasi due anni da quell’incendio, le parole della terza ordinanza circa il pericolo tutt’oggi esistente (“concreto e attuale”) per la salute dei poggesi?
Come si spiega una vicenda così all’apparenza grave e paradossale? Cos’è successo?
Perché il sindaco, che pure si era imposto di dare visibilità alla terza ordinanza pubblicandola sul sito internet del Comune e anche nei social istituzionali non ha poi fatto ciò che lui stesso si era obbligato a fare? Cosa si aspetta a pubblicarla, anche sui social, in modo chiaro?
Non sarebbe il caso che il sindaco, prima autorità sanitaria, spiegasse per bene e in modo completo la vicenda ai cittadini? Perché tenere all’oscuro la comunità? Perché non usare la trasparenza?

LA NOVELLA (DELLO STENTO) SULLA PIAZZA – Era chiaro che il cantiere sulla piazza XX settembre non sarebbe terminato nella data (fine aprile 2025) promessa. Una data peraltro già slittata diverse volte (Palandri, ad esempio, si era lanciato nel promettere la fine dei lavori entro il Natale 2024).
Era chiaro che si sarebbe andati oltre: per adesso siamo a fine giugno. Poi vedremo. In ogni caso è anche chiaro che, prima o poi, la mitica piazza per cui siamo diventati famosi in tutta la Toscana, e forse pure oltre, avrà da finire.
A essere assai poco chiaro in tutta questa procedura è anche l’assenza di un atto che spieghi i motivi reali del ritardo nel chiudere il cantiere rispetto all’impegno formale preso (sui media il sindaco ha scaricato ogni colpa alla ditta) e fornisca una data certa per la chiusura finale. Che si aspetta a mettere nero su bianco la nuova scadenza?

LA NOVELLA (DELLO STENTO) SUL PONTE – Riapertura a doppio senso del Ponte al Molino. Nell’ansia di dare sempre la colpa ad altri, gli assessori Baroncelli e Mastropieri (quest’ultimo condannato dalla Corte dei Conti per danno erariale commesso nei confronti del Comune di Carmignano quando lui, lì, era dirigente) adesso se la prendono con la Provincia di Prato.
Temendo che anche questa loro promessa finisca per slittare, accusano i “comunisti” della Provincia di non aver ancora dato il promesso “nulla osta”.
L’assessore condannato, in particolare, accusa in modo pesante la Provincia di “ostacolarci per una questione politica”. Parole gravi. Mettono in dubbio la serietà istituzionale del presidente Calamai e dei dirigenti in Provincia.
Peraltro la Provincia di Prato non ha messo alcun bastone fra le ruote del Comune. Anzi. Ha solo “consigliato” di attendere il non scontato esito dell’appello, sulla viabilità, presentato dallo stesso Comune al Consiglio di Stato dopo la sentenza del TAR Toscana che dà ragione ai cittadini ricorrenti.
Palandri e l’assessore condannato non vogliono seguire quel semplice “consiglio”? Liberissimi.
Se vogliono riaprire a doppio senso il ponte Molino, possono iniziare a pensarci: sanno, da soli, di dover attendere solo il parere (obbligatorio per legge) della Soprintendenza. Lo avranno certo già chiesto.
E poi anche se fosse negativo, loro dei pareri della Soprintendenza hanno già dimostrato di infischiarsene.
Dunque perché cercare sempre qualcuno su cui scaricare colpe? Perché non assumersi mai la responsabilità che compete a chi governa?

24 MAGGIO 2025: I SUDARI DI GAZA – Sconcertato davanti alla debolezza della politica e delle istituzioni, ai diversi livelli, e anche colpito da un cinismo che pretenderebbe di considerare due milioni di persone come esseri non umani, aderisco all’iniziativa promossa (anche) da due persone che conosco e stimo: Paola Caridi, giornalista esperta di Medio Oriente e Tomaso Montanari, storico dell’arte e opinionista.
Aderisco per un piccolo gesto pubblico, sabato prossimo 24 maggio, davanti al massacro in atto a Gaza. Un gesto facile, ma forse utile, nella sua piccolezza, per tentare di “restare umani“.
Qui, dal profilo fb del prof. Montanari, il testo del messaggio e il senso della proposta.
Teli bianchi. Sudari. Avvolgono – a Gaza – i corpi dei palestinesi morti ammazzati, e sono così diventati simbolo della strage. Sono, cioè, gli oggetti comuni del nostro tempo crudele. Tempo di genocidio. Il sudario ricopre, sottrae alla vista del mondo il corpo di cui è stato fatto scempio. Avvolgere nel sudario è un gesto estremo di cura, di pietas. Protegge la dignità degli esseri umani quando le vite non valgono più niente, nella conta approssimativa dei morti.
Come si fa a piangere, onorare la memoria, dei morti di Gaza in quasi 600 giorni di assedio? Come si fa a piangerli uno per uno? Proviamo a farlo, in silenzio, sabato 24 maggio: in ogni città, paese, contrada d’Italia.
Riempiamo piazze, strade, finestre di lenzuoli bianchi a ricoprire il selciato e le facciate di edifici privati e pubblici. Vorremmo che tutti insieme, in tutta Italia, arrivassero al numero tragico dei 50.000 di Gaza. Tutti insieme saranno i corpi che il mondo non vuole vedere.
Facciamolo sui social e negli spazi pubblici, ciascuno con il suo telo. Facciamolo organizzandoci per condominio, strada, quartiere: ma anche da soli, ognuno alla sua finestra. E le fotografie inondino la rete, con l’hashtag #ultimogiornodigaza Perché i morti di Gaza tornino ad essere uno scandalo.
POGGIO (A CAIANO) E BUCA di Mauro Banchini – n. 105 del 19 maggio 2025
