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Home»Chiesa»SE CROCE E PRESEPE DIVENTANO ARMI. PER DISTRARRE (puntata seconda)
Chiesa

SE CROCE E PRESEPE DIVENTANO ARMI. PER DISTRARRE (puntata seconda)

Mauro BanchiniBy Mauro Banchini23 Dicembre 2023Updated:23 Dicembre 2023Nessun commento10 Mins Read
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Seconda puntata di un contributo a suo modo “natalizio”. Nella prima il racconto è stato su una contesa circa la collocazione di un capolavoro dell’arte (la “Visitazione di Carmignano”) da spostare causa lavori. Ma soprattutto sul significato “altro” di un quadro icona. Qui si scrive su chi, per propaganda di partito, vorrebbe “obbligare” a esporre crocifissi e presepi considerati non come liberi segni di Amore impegnativo e consapevole ma ridotti a cattive armi “identitarie” della “nostra civiltà occidentale”. La stessa assurdità, speculare, di chi, al contrario, croci e presepi li vorrebbe cancellare.

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IN HOC SIGNO VINCES – Dal 29 novembre la sala del Consiglio Comunale di Poggio a Caiano (Prato) ha un suo crocifisso appeso al muro. Fino a quel momento un crocifisso lì non c’era, ma un certo numero di croci con il Cristo appeso erano comunque presenti, da tempo, nel palazzo comunale. Partendo proprio dalla stanza che, pro tempore, ospita i sindaci eletti dai cittadini.

In un clima già natalizio (se non altro perché nei negozi erano già molti giorni che si vendevano panettoni e pandori) e in un contesto da tempo ampiamente secolarizzato e post cristiano, lo spazio rappresentativo dell’intera cittadinanza ha ora, pure esso, il suo bel crocifisso.

L’iniziativa l’aveva presa, con una lunga mozione politica, la vicesindaco Diletta Bresci (Lega Salvini). L’assessore Baroncelli aveva firmato. Sul valore del crocifisso, nel documento sono inserite citazioni, certo non da “Frasilandia” ma frutto di vera cultura, dalla terna Croce, Fallaci, Cardia; definiti non solo come “illustri intellettuali” ma anche come … “atei”.

Il succo della mozione stava tutto nelle ultime parole: “apporre un crocifisso come simbolo dell’identità del nostro Paese e come segno più emblematico della cultura occidentale”. Parole molto chiare per spiegare il senso, politico-identitario, assegnato a un’operazione volutamente mirata a dividere, l’assemblea consiliare, più che ad unirla. Usando, per questo obiettivo, la croce di Cristo. Come una clava.

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DAL DIO PO AL DIO IN CROCE – Qualcuno, con un po’ di esperienza, ha poi notato un aspetto. Se davvero dal destra centro si fosse voluto appendere il crocifisso in modo condiviso, sarebbe bastata – anche usando la figura del neo presidente del Consiglio Comunale – una telefonata preliminare al capogruppo di opposizione: in modo da sondare l’eventuale favore verso un’operazione che, senza forzature di parte, avrebbe potuto ottenere perfino l’unanimità.

In certi casi l’esperienza politica, il ricorso alla diplomazia nei rapporti anche umani, la saggezza e perfino il buon senso possono aiutare a ottenere risultati verso il bene comune. Ma questa è stata una strada che non si è voluta neppure ipotizzare.

Alla vicesindaca leghista interessava solo fissare una bandierina di parte. E in effetti c’è riuscita.

UN CRISTO USATO – Il suo partito, ormai dimenticato il dio po e le liturgie celtiche, ha perfino presentato una proposta di legge per rendere (sic) “obbligatori” i crocifissi nelle sedi pubbliche prevedendo (sic) multe salate per i trasgressori.

Imitato, poche settimane dopo, dai meloniani. Che non hanno voluto essere da meno dei leghisti perché in queste ore di questo Natale, hanno presentato un’altra proposta di legge, in Parlamento, per tentare di imporre in ogni scuola i presepi prevedendo anche sanzioni per i trasgressori. Facile capire che nè l’una né l’altra proposta di legge arriveranno in porto. Servono solo per fare un po’ di ammuina. Per parlare d’altro. Come cinica arma di distrazione (a Roma ma anche qui, in provincia di Prato) per sviare da qualche imbarazzante fallimento governativo.

Da amante dei presepi e da fermo oppositore contro tutti i – falsamente laici – tentativi di impedire la realizzazione di presepi nei luoghi pubblici, trovo a dir poco assurdi questi tentativi, della destra, di strumentalizzare a fini di partito croci e presepi. Così come trovo specularmente assurdi quei tentativi (ad esempio sostituire la parola “Gesù”, nelle filastrocche, con la parola “cucù” o altre scempiaggini del genere) di cancellare o minimizzare ogni riferimento al Natale, o alla Pasqua, con la scusa di non offendere altre religioni (che peraltro non si offendono certo per questo).

Nostro Signore che con il nome di Gesù venne in terra per salvarci attraverso un messaggio d’amore, ho l’impressione, per come lo conosco, che si sia incacchiato forte davanti a questi fin troppo scoperti tentativi di usarlo. O di ridurlo a semplice tradizione. O di averne paura preferendo ignorarlo. Esempi diversi, contrapposti, di assurdita ignoranti. O di ignoranze assurde.

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IL LEGNO CHE INQUIETA – Nel dibattito in aula, il 29 novembre, qui a Poggio a Caiano, l’opposizione (formata da quattro consiglieri di un centrosinistra non certo ostile al segno del crocifisso) ha avanzato una proposta spiazzante. Ma la maggioranza, senza neppure rifletterci troppo, l’ha subito respinta. Ha provato solo spavento quando, su questi temi, sarebbe meglio farsi tentare dalla inquietudine.

L’idea dell’opposizione era quella, accettando di mettere un crocifisso nell’aula, di acquistarne uno in legno realizzato, da una cooperativa composta da persone disabili, utilizzando legno proveniente dai barconi dei migranti. “Gesù, sulla croce, ha portato sofferenza e speranza per tutti gli uomini – spiega il presidente della cooperativa sociale “Ro’ La formichina” promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII – Oggi, quella sofferenza, la portano i migranti quando attraversano il mare in un viaggio della speranza intrapreso nell’auspicio di costruirsi qui in Europa una vita nuova”.

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OCCASIONE PERSA? – Una proposta in linea con il magistero della Chiesa, con la dottrina sociale, con gli insegnamenti di Papa Francesco, ma – volendo apporre un simbolo comunque religioso in uno spazio comunque laico – anche in linea con la Costituzione e la dichiarazione sui diritti umani.

Una proposta che sarebbe bastato un po’ di buon senso, e di esperienza, per accogliere. Chi, invece, ha ascoltato il dibattito, sempre riascoltabile, si è bene reso conto della distanza, anche nei toni, ad esempio fra l’intervento del capogruppo di opposizione e quello della vicesindaca salviniana. Per lei il crocifisso è ridotto soltanto a “simbolo” di una non meglio precisata “civiltà occidentale”.

La proposta dell’opposizione, sintetizzata in un emendamento, è stata respinta nonostante non fosse mancato in extremis un tentativo più conciliante da parte dell’assessora all’Istruzione. Inevitabile la spaccatura sul voto finale.

A favore il destra centro, astenuto il centro sinistra. Un’occasione, insomma, persa? Persa per tutti? Consiglieri credenti nei diversi fronti politici e consiglieri non credenti (o diversamente credenti o, come ha detto qualcuno di loro, atei)? E persa anche per i cittadini? Almeno per quelli, pochi o molti che siano, interessati a questo tipo di vicende?

Sarebbe interessante, in una comunità ecclesiale peraltro impegnata nel sinodo diocesano, capire che tipo di reazioni una vicenda del genere ha suscitato. Se le ha suscitate.

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BRANCALEONE ALLE CROCIATE – Due giorni dopo, il primo dicembre, il crocifisso è stato, in effetti, “apposto” nell’aula consiliare. Da notare un non lieve dettaglio che la dice lunga: alla cerimonia erano presenti, con tanto di photo opportunity davanti al crocifisso, solo esponenti della maggioranza. A quelli dell’opposizione non era stato detto nulla.

Ed è stato chiamato un parroco che, al termine di una breve cerimonia, ha benedetto quello che la vicesindaca ha insistito a definire come (sic) “il simbolo identitario di noi fedeli e della nostra civiltà occidentale”. Una concezione, sia scusata la franchezza, un po’ arretrata sia sul piano culturale-civile che su quello ecclesiale-religioso. Da vecchia crociata riletta secondo gli stilemi da buffa armata branca-leonesca o diletta-ntesca.

Non è mancato chi, davanti a questa definizione riduttiva e politicistica, ha riflettuto: senza pretendere, su terreni così scivolosi, di dare lezioni, né di cristianesimo né di laicità, ad altri; nel doveroso silenzio che si deve – per chi osa dirsi credente ma anche per chi osa non dirsi tale – a qualcosa che è certo assai più di un semplice ninnolo o arredo o simbolo rinviante a una “identità” tantomeno limitata alla “nostra civiltà occidentale”.

Segno di contraddizione (anche quando qualcuno, nel nome di una distorta e deformata laicità, pretenderebbe di toglierlo dagli edifici pubblici o dalle cime delle montagne) il crocifisso lo è da quasi due millenni. E lo resterà ancora. Né basterà qualche inutile forzatura da strumentalizzazione politica di paese piccolo per variarne il significato o piegarlo a qualche disegno di bassa politica.

===

LORENZO, TONINO, FRANCESCO E PIER PAOLO – Anche ricordando la provocazione di don Lorenzo Milani che nella sua scuola aveva tolto il crocifisso, valgono ancora le profetiche e scomode parole di don Tonino Bello. “Voi difendete i crocifissi di legno appesi alle pareti e non fate nulla, anzi condannate, i crocifissi viventi rappresentati dagli uomini, dalle donne, dai bambini che si vedono offesi nella loro dignità di persone siano essi migranti (respinti o affogati in mare aperto) o comunque persone di buona volontà a prescindere dal loro credo religioso”.

Così come vale il monito di Francesco, ma anche di tanti altri Pontefici. “Non riduciamo la croce a un oggetto di devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza religiosa e sociale … Il testimone che ha la croce nel cuore e non soltanto al collo non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per cui Gesù ha dato la vita”.

“Cristo – ha detto, parlando di guerre, Papa Francesco – è ancora una volta inchiodato alla croce nelle madri che piangono la morte ingiusta dei mariti e dei figli. È crocifisso nei profughi che fuggono dalle bombe con i bambini in braccio. È crocifisso negli anziani lasciati soli a morire, nei giovani privati di futuro, nei soldati mandati a uccidere i loro fratelli. Cristo è crocifisso lì, oggi”.

Lasciamoci infine stupire – e provocare – da un poeta, Pier Paolo Pasolini, con un suo Natale fatto di versi aspri. Molto aspri. “Non c’è più Natale” (1960). Buon Natale a tutte e a tutti.

Sono gli ultimi giorni dell’anno. Il benessere
accende, verso sera, in tutti gli uomini
una specie di follia: la smania inespressa
di essere più felici di quanto siano …

È sempre una speranza che dà pietà: anche
il piccolo borghese più cieco ha ragione
di averla, di tremarne: c’è un istante
in cui anch’egli infine vive di passione.

E tutta la capitale di questo povero paese
è un solo ansito di macchine, una corsa
angosciata verso le antiche spese
di Natale, come a una necessità risorta.

Potente luce di Luglio, ritorna, oscura
questo debole crepuscolo di pace,
che non è pace, questo conforto ch’è paura:
ridà parole al dolore che tace.

Manda i cadaveri ancora insanguinati
dei ragazzi che hai illuminato potente:
che vengano qui, tra questi riconsolati
benpensanti, tra questa dimentica gente.

Vengano, con dietro il tuo chiarore di piazze
fatte campi di battaglia o cimiteri,
tra queste ciniche chiese dove la razza
dei servi torna alla sua viltà di ieri.

Vengano tra noi, a cui non è rimasta
che la speranza di una lotta che dispera:
non c’è più luce di Natale, o di Pasqua.
Tu, sei la luce, ormai, dell’Italia vera.

POGGIO (A CAIANO) E … BUCA – di Mauro Banchini – 23 dicembre 2023 – n 37 (seconda puntata)

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Mauro Banchini
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