Di “loghi” me ne intendo poco. Di “luoghi”, a Pistoia e dintorni, magari qualcosa in più: ma in genere quando sento “logo”, la mia mano va dritta alla pistola essendo io, più che invecchio, sempre più pericolosamente vicino alle ragioni, oggi controcorrente, di quelli che un tempo si sarebbero detti “nologhisti”. Premesso questo, mi sto divertendo come un matto alle polemiche su “dopo logo” per questa singolare cosa chiamata “Pistoia capitale italiana della cultura”. A divertirmi, da pistoiese di provincia che abita in provincia di Prato, anche il fatto che qualcuno abbia intravisto similitudini fra il logo scelto per Pistoia capitale e quello per promuovere la vicina, e storicamente conflittuale, città secondo cui “tempeste” e “puttane” arriverebbero sempre da Pistoia.
Ho una sorta di conflitto di interesse perché conosco la ragazza che, con una giovane azienda locale, si è aggiudicata il bando: è la stessa azienda a cui mi sono rivolto un anno fa per farmi disegnare il blog. Una azienda di giovani e all’inizio sostenuta dal cosiddetto “progetto Policoro”: il tentativo della Chiesa di stare nel mondo del lavoro giovanile stimolando azioni di imprenditorialità e introducendo non solo riflessioni ma anche concretezze su un terreno oggi così strategico.
Il segno grafico scelto da Sara Landini e dalla sua Keep Up potrà non piacere. Non sarà di presa facile. Somiglierà ai bastoncini dello Shanghai (in questo caso perché non invitare l’ambasciatore cinese in Italia a inaugurare l’anno pistoiese?) Può essere.
Ma spero di non essere troppo scorretto se dico che a me, a farlo piacere, sono le proprio polemiche, scontate, che subito si sono scatenate: partendo dal polemista per contratto, Vittorio Sgarbi. Scontato era il suo giudizio negativo: con queste piccole o grandi furbizie comunicative, l’ottimo Vittorio è una vita che ci marcia (e ci campa). Ingiusto, casomai, ho trovato l’aggettivo scelto (“ripugnante”), ma anche questo suo essere sempre sopra le righe è la caratteristica, assai poco spontanea, del personaggio. Se c’è una cosa che non mi piace – ma questa non credo sia una scelta di Keeep Up – è l’aver messo la parola “Toscana” sotto “Pistoia”. Ma questo è un dettaglio.
La cosa vera su cui riflettere, in questa vicenda legata alla “capitale”, non sta nel logo ma nel “manico”: nel capire cosa diavolo voglia dire, ogni anno, per una città di questa nostra Italia delle 100 città, essere “capitale della cultura”. Che ha voluto dire per Mantova? Che vorrà dire per Pistoia e, in futuro, magari per Trento? Vuol dire (come si sente dire sempre più spesso) far arrivare in quella città un po’ più di flussi turistici che, con la scusa della cultura, affollino alberghi e pizzerie, gelaterie e centri commerciali? Oppure qualcosa di altro, di più alto e consistente anche per il diritto dei cittadini (pistoiesi – in questo caso – compresi) di fare i conti con una cultura non consumistica e non banalizzata?
Sia nell’uno che nell’altro senso, Pistoia 2017 mi pare “lievemente” (sic) in ritardo. A un mese dal 1 gennaio 2017 non c’è un sito ufficiale, non c’è un programma, non ci sono progettualità capaci di farti schioccare le dita e di far capire come davvero si intenda “approfittare” in modo creativo di questa opportunità. Non ci sono o, comunque, non appaiono: se ci sono, se ne stanno bene nascoste nel “luogo” del silenzio (e delle rissosità su tutto). Ma il ritardo è evidente, complicato, forse, anche dal fatto che proprio nel 2017 Pistoia farà le sue elezioni amministrative.
Prendersela con il logo (che a me – ripeto – comincia a piacere nella sua apparente incomprensibilità di segno grafico. Ma un segno grafico perché deve essere comprensibile?) prendersela con il logo, con chi lo ha realizzato, con chi lo ha scelto, non lo trovo “ripugnante”. Mi pare, più semplicemente, una bischerata.