Domenica storica, questa dell’8 marzo 2020. In aderenza a un decreto del presidente del Consiglio uscito a notte fonda per contrastare il diffondersi del virus COVID-19, diverse diocesi toscane hanno sospeso la celebrazione delle Messe in questa seconda domenica di Quaresima.
Altre diocesi, sempre in Toscana, hanno consentito le celebrazioni eucaristiche sia pure con le salvaguardie, già note in precedenza, finalizzate a evitare affollamenti. Una situazione, in Toscana e non solo, a macchia di leopardo certo in attesa di indicazioni univoche.
Tutto si basa, nell’ordinanza, sull’articolo 2 (le misure valide su tutto il territorio nazionale, mentre come noto per Lombardia e 14 province del nord vale l’art. 1 con norme assai più stringenti).
In quell’articolo si consente “l’apertura dei luoghi di culto” condizionandola a “misure organizzative tali da evitare assembramenti di persone”. Come (forse) dovremmo avere imparato, tutti abbiamo l’obbligo di rispettare un metro di distanza fra noi e gli altri: ciò è fondamentale per la salute di tutti.
Le chiese sono dunque aperte, ma il decreto dichiara “sospese le cerimonie civili e religiose, ivi comprese quelle funebri”. Con questa formulazione in effetti un po’ generica (una “celebrazione eucaristica” è una “cerimonia religiosa”?) ma soprattutto con la fretta, per i singoli parroci o vescovi, di dover decidere nella primissima mattina rispetto a un decreto uscito nella notte, ecco forse il motivo di scelte così diverse: c’è chi (iniziando dalla diocesi di Firenze) le Messe aperte ai fedeli le ha subito sospese e chi (esempio toscano: Livorno) ha ritenuto di non farlo.
Non c’è da stupirsi o da criticare. Per un credente praticante – siamo pochi, una minoranza, e nelle chiese di questa Toscana post secolarizzata il problema non sta certo nell’affollamento – l’aspetto più importante a me pare un altro.
Già lo hanno sperimentato, nelle scorse settimane, i praticanti delle zone “rosse” che si sono trovati privi delle Messe. Da questa domenica, e chissà per quanto ancora, è toccato anche altrove.
Il mio parroco ha celebrato Messa a porte chiuse con tre suore. Una di loro ha curato la … diretta Facebook. Solo in quattro, nella piccola chiesa intitolata a San Francesco, stamani hanno potuto fare comunione: noi, collegati da casa, ci siamo fatti bastare la “comunione spirituale”, cioè la voglia di comunicarci ma nella impossibilità materiale di farlo.
Una esperienza, questa Messa via Facebook, inconsueta per noi, che fa riflettere.
Sono un praticante ordinario, come tanti: a Messa cerco di andarci ogni domenica. Qualche volta mi capita di saltare. So che dovrei confessarlo, ma con quel sacramento ho qualche problema. Come, credo, tanti fra noi.
Spesso, pure apprezzando “don” che nel caso delle mie due parrocchie sono davvero credibili, durante la Messa mi ritrovo disattento. Il pensiero, talvolta, fugge. La routine delle formule, purtroppo, ogni tanto riesce ad attenuare la grandezza di ciò che Messa significa: l’ascolto di una Parola che salva; il rinnovamento del sacrificio di Cristo; la scelta di “assumere”, dentro di noi, il Corpo e il Sangue di Cristo; l’andare in pace vivendo “nel” mondo senza essere “del” mondo.
Roba tosta, allucinante per davvero. A volte penso che se fossi consapevole sul serio, certo sarei più adatto a osare, per me, la esigente definizione di “cristiano”.
Pensavo a questo, stamattina, guardando la diretta Facebook dalla mia parrocchia di campagna. Un po’ disturbato dalla banalità dei segni (i cuoricini, i like) che vedevo volare, in diretta, accanto all’immagine del celebrante. Ci pensavo, al senso della Messa, aiutato anche dalla potenza del Vangelo odierno: la Trasfigurazione (appassionato di Terra Santa, considero il Tabor uno dei luoghi più coinvolgenti nei miei, spero non terminati, pellegrinaggi nella terra di Gesù).
Chissà quanto ancora dovremo combattere con le limitazioni causate dal virus venuto da lontano. Chissà come finirà. Chissà come tutto ciò, alla fine, ci avrà cambiato. Se ci avrà cambiati.
Da credente praticante, so di dover fare i conti non solo con le paure del contagio ma anche con le opportunità di uno stile di vita da rivedere. Compresa quell’oretta di tempo settimanale passata in modo comunitario dentro una chiesa per una Messa adesso osservata, nel chiuso della mia privatezza, tramite un social spesso denso di insidie.
Potrebbe, la sospensione delle Messe, aiutarci un po’ tutti a riscoprire il senso della Messa?
A me, nei giorni di un virus per la cui sconfitta mi affido alla scienza non trovando contraddittorio pregare il Creatore, basterebbe poter non perdere la nostalgia di Gesù, il senso di una celebrazione chiamata “Messa”, la capacità di fare i conti con quanto significa “prendere Messa”.
Ciò quando l’affollamento che fa rima con stordimento si pratica non certo nelle nostre chiese. Qui – e oggi grazie anche a un social spesso abituato a parole d’odio – al massimo di ascoltano parole di Trasfigurazione. Che fanno rima con Liberazione.