Matteotti. Giacomo Matteotti. Pochi giorni e saranno 95 anni da quel 10 giugno 1924 quando venne assassinato, su mandato di Benito Mussolini, da sicari fascisti capeggiati dal camerata Amerigo Dumini.
Giorni fa sono voluto andare apposta – su quel lungotevere vicino a Piazza del Popolo – per recitare un requiem e tentare una riflessione sul tempo che passa. Quel tempo che oggi ha ridotto un eroe come Matteotti a un ignoto, titolare di tante vie, viali (anche quello nel paese dove vivo), piazze (anche quella del paese dove sono nato).
Già: chi lo ricorda più Giacomo Matteotti? Chi – fra i ragazzi di oggi, e purtroppo anche fra quelli di ieri – conosce la vicenda di questo politico socialista ucciso per il coraggio delle sue idee? Chi ricorda il motivo, i motivi, per cui fu trucidato su quel lungotevere oggi sconquassato dal traffico?
Mussolini lo fece fuori sia per la forza con cui gli si opponeva in Parlamento, sia per ciò che stava per fare: una documentatissima denuncia pubblica (a proposito di chi oggi crede ancora alla favola del regime magari violento ma almeno onesto) contro una sorta di tangentopoli ante litteram legata al petrolio. Matteotti stava per denunciare affari loschi, arricchimenti privati. Stava per attaccare il regime anche su questo, non solo sulle libertà tolte, sulle violenze contro gli avversari.
Basta leggere il notevole “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati per avere voglia di vederlo, quel lungotevere Arnaldo da Brescia. E basta scorrere un libro assai più piccolo di pagine (“Giacomo Matteotti. Contro il fascismo”) appena pubblicato da Garzanti con ottima prefazione di Sergio Luzzatto per veder confermata questa voglia.
Ripubblica, Garzanti, due fra i discorsi più noti di Matteotti: quello del 31 gennaio 1921 quando parlò contro il fascismo e quello del 30 maggio 1924 quando denunciò i brogli nelle elezioni del mese prima. Continuamente interrotto da chi si sentiva toccato, firmò la sua condanna a morte eseguita pochi giorni dopo.
Se siete a Roma, fatela questa deviazione. Merita. Fatela tenendo a mente la cronaca di quelle ore così bene riassunta da Scurati: Matteotti che esce dalla sua abitazione di via Pisanelli 40 (c’è ancora una targa); Amerigo Dumini e gli altri 4, criminali autentici, che lo aspettano all’angolo di via degli Scialoja sull’auto pagata dal partito; l’aggressione sul lungotevere dove adesso c’è il monumento. Bastano pochi minuti, bisogna stare attenti al traffico che scorre accanto e sotto, ma sono minuti bene impegnati.
Il monumento (voluto nel 1974 da un partito che allora era svillaneggiato ma che ha vinto i suoi conti con la storia: il PSDI. Chi più lo ricorda?) lo realizzò a Pistoia Jorio Vivarelli. Intende significare il passaggio dalle ossa della morte al germoglio della vita.
“Voi uccidete me, ma l’idea che è in me non muore”. Considerando il silenzio caduto su Matteotti, forse quelle sue famose parole andrebbero oggi ripensate. Ma fa bene Sergio Luzzatto a scrivere che “una volta ripulita dallo smog delle strade e dalla polvere della storia, la figura di Matteotti sembrerebbe fatta apposta per servire l’Italia contemporanea”. Cominciando dal PD.
Forse farebbe bene la sindaca Raggi a far togliere quelle immondizie che accanto e dietro al monumento non facevano (almeno il giorno che ci sono stato io) bella figura. Vero anche che tutta Roma è coperta dai rifiuti. Vero anche che sono rifiuti e volgarità a caratterizzare, oggi, una buona parte della politica e della società in cui viviamo tutti noi, che magari abitiamo in una piazza, in una via, in un viale intitolato a uno che chissà mai chi era.
Uno come lui, oggi, è da presumere che di voti ne prenderebbe pochi. Troppo serio per piacere davvero. Forse sarebbe il cinico Dumini a fare opinione nei talk. Lui che per una vita, perfino in galera, era convinto di fare la “bella vita”.