Langer. Alex Langer, uno che è utile riprendere in mano. Fra un anno o poco più, il 7 luglio, spero in molti lo ricorderemo nel primo quarto di secolo esatto dalla sua morte: una morte che fu lui a darsi, nella bellezza di un colle sopra Firenze, appendendosi al ramo di un albicocco: troppo doloroso, per la sua sensibilità, ciò che stava accadendo nei Balcani. Troppo debole, lui, per resistere a sorella depressione. Impegnativo il suo appello finale: “Continuate in ciò che era giusto“.
Da questo sudtirolese incapace di accettare le frontiere, arriva una lezione forte: specie oggi, con le elezioni europee. Specie se si è fra chi spera che, anche dall’Italia smarrita e impaurita, arrivi un segnale altro rispetto alla paura e alla cattiveria cui ci chiama colui che nei comizi è solito “affidarci” nientemeno (sic) che “al cuore immacolato di Maria”. Manco fosse il papa o un prete mentre, in realtà, è solo un cinico furbacchione, manovrato da chissà chi, che, con una macchina comunicativa non a caso chiamata “bestia”, se la ride di quei valori che pure gli fa comodo proclamare.
Torniamo, invece, a Langer. Respiriamo aria pulita. Chi ha l’età di ricordarlo, cerchi di capire perché gli fu destino restare inascoltato, minoritario. Chi è nato dopo prenda in mano i suoi libri e quelli che su di lui sono stati scritti. A me, che in questi giorni ho preso in mano “Il piano Langer” a cura di Giuseppe Civati, è venuto il desiderio di andarlo a trovare nella tomba del piccolo paesino ai confini con l’Austria, Telves, dove è sepolto con i genitori. E di contattare la Fondazione che gli amici, nel suo nome, hanno costituito perchè il suo messaggio, di una visionarietà attuale, non si perda.
Tutta da leggere ad esempio la “lettera” che Langer scrisse a San Cristoforo (“Non so se tu ti ricorderai di me. Ero un ragazzo che ti vedeva dipinto all’esterno di tante piccole chiesette di montagna …”). Il grande e forte uomo di guerra, rispettato e onorato da tutti per la sua forza e per il successo delle sue armi, che a un certo punto decise di cambiare vita: si mise sulle rive di un fiume pericoloso per traghettare, grazie alla forza dei suoi muscoli, quei viandanti che da soli non ce la facevano.
La storia è nota: a un certo punto gli si presentò un bambino. All’apparenza era chiara la facilità di quel compito: figurarsi, portare su spalle così robuste un piccolo così fragile! In realtà quel Bambino era Gesù e lui, il gigante Cristoforo, se ne accorse subito: fu la traversata più faticosa, dubitò perfino di farcela, dovette davvero mettercela tutta per portare quella apparentemente piccola creatura dall’altra parte del fiume. Ma ce la fece.
Leggetela la lettera di Alex Langer a San Cristoforo, il gigante che sceglie di mettere la sua forza a servizio di una causa buona (“Qual è il fiume difficile da attraversare, quale sarà il bambino apparentemente leggero ma in realtà pesante e decisivo da traghettare?”). Leggiamolo, Langer. Troveremo la conferma di quanto attuale ancora sia quel suo ribaltamento del triplice motto olimpico (“più veloce, più alto, più forte”). E poi andiamo a votare avendo in mente uno – come è stato scritto – “dei pochi europei veri che abbia prodotto il nostro paese”.