Sento che alle primarie romane dei leghisti (o Roma non era “ladrona”? Boh!) per scegliere il candidato sindaco avrebbero partecipato 10 mila persone che in realtà, secondo altri esponenti della destra, sarebbero molti meno perchè molti (i soliti cinesi compresi …) avrebbero votato più volte in seggi diversi. Fra qualche ora il mitico Salvini darà i risultati di uno scrutinio, tutto interno, che avranno fatto fra loro: senza alcun tipo di serio controllo esterno. Diciamoci la verità: una ennesima presa di giro a uso mediatico (un po’ come i grandi numeri snocciolati dagli organizzatori – tutti – alla fine delle manifestazioni di piazza. La gara a chi la spara più grossa).
Problemi analoghi, ovunque, su tutte le “primarie” di qualunque forza politica, con qualunque tecnica usata (rete compresa) in qualunque città e per qualunque livello istituzionale (ho ancora in mente le “primarie” fiorentine del 2009 che, con i voti determinanti dei verdiniani e della destra, consentirono a Renzi di diventare sindaco iniziando così la sua scalata al potere).
Visto che si tratta di indicare, a elettori sempre più sfiduciati, candidati per momenti importanti nella vita istituzionale del Paese e visto che i partiti politici di oggi (o ciò che ne resta) non sono, da soli, in grado di selezionare il loro ceto dirigente in base alle – ormai sepolte – regole di un passato antico (l’adesione a valori ideali, il rodaggio nelle istituzioni minori, la preparazione tecnico-politica, la lettura di qualche libro … Per carità: non tutto riluceva, nel passato, eppure qualche dubbio, nel paragone, ogni tanto viene), non sarebbe davvero l’ora di approvare una norma generale per regolare sia le cosiddette primarie sia la vita democratica interna nelle forze politiche?