Leggere di “don euro” quando sei ad Assisi e stai ascoltando il vescovo di quella diocesi che parla del nuovo santuario cittadino (quello “della Spogliazione”. In ricordo del gesto, clamoroso, di Francesco quando si spogliò fino alla nudità davanti al vescovo di allora per far capire quale sarebbe stato il suo carisma, di povertà assoluta, ottenendo dal vescovo una tunica per rivestirsi), ascoltare il messaggio di Francesco e leggere le tristi cronache del prete lunigianese, accusato come truffatore e ricattatore, in effetti fa un certo … effetto.
In questi casi sarà la giustizia terrena a fare il suo corso per eventuali “reati”. Ma, almeno in chi è credente, resta una forte amarezza circa gli eventuali “peccati” – per usare la distinzione usata dal suo legale – commessi da un sacerdote che chiedeva denaro per i poveri mentre lui se lo “sputtanava”, termine non tecnico ma rende bene l’idea, con ben altri tipi di obiettivi terreni.
Non giudico. Ovviamente non giudico. E “don euro” risponderà di suo alla giustizia umana trovandosi poi con la sua coscienza a fare i conti con l’altra Giustizia. Però, da giornalista e da giornalista credente, mi permetto con tutta la mitezza necessaria di dire due parole sul comportamento della chiesa locale. Se ho capito bene, erano diversi (vescovo compreso) a conoscere le abitudini di questo prete: se ciò è vero, invece di tentare impossibili “lavaggi” interni di possibili “panni sporchi”, forse sarebbe stato meglio dare sapiente pubblicità, anche mediatica, fin dall’inizio a questa vicenda.
Nell’era della comunicazione spinta – e chi ha un minimo di esperienza nel settore lo sa bene – certe vicende è impossibile nasconderle: prima o poi saltano fuori. Dunque perché tentare di tenersele “dentro”, provando oltretutto una intuibile sofferenza, come si vivesse nell’Italia di 70 anni fa?
Non sarebbe stato meglio, oltretutto nell’epoca di un papa come Francesco, se a rendere pubblica la vicenda fosse stata, prima del Procuratore della Repubblica, proprio la Chiesa locale? Non sarebbe stato meglio sia per il dovuto rispetto verso chi è stato tradito sia per chi ha tradito (o almeno così pare)? La “gogna”, oggi aperta con un ovvio clamore, sarebbe forse stata più dura se fosse stata proprio la diocesi ad aver detto, in pubblico, “scusate: abbiamo un problema”?
Lo scrivo da fuori, non conoscendo, della vicenda, altro che ciò che leggo sui media. E magari mi sbaglio. Ma in tempi oltretutto così difficili per la Chiesa di Francesco, combattuta anche dal suo interno, certe piccole vicenda di periferia contribuiscono a far male (molto male) a quella che don Lorenzo Milani chiamava “la ditta”.