“L’amara parentesi aperta il 9 settembre 1943, alle ore 8, è chiusa, finalmente, questa mattina (giovedì 13 settembre 1945, ndr) alle ore 3, dopo ben 735 giorni. Ho vissuto un’odissea dolorosa, incresciosa: ormai è passata, finita. Meglio è non parlarne più, non pensarci più. Una nuova vita ha inizio per me, ma prima mi è caro rendere lode e grazie a Dio misericordioso per avermi dato la forza di sopportare e resistere, e di avermi assistito sempre. Con l’aiuto di Dio, quindi, scrivo la parola fine”. Così Salvatore De Vita (classe 1893), tenente colonnello dell’esercito italiano, concludendo un suo lungo diario scritto nel lungo periodo di prigionia passato, insieme a tanti altri commilitoni, in Germania e in Polonia: nei campi di internamento nazisti. Era appena rientrato a Pistoia, nella sua amata famiglia.
A ritrovare e a ritrascrivere il diario (un migliaio di pagine di sottilissima carta velina, scritte fitte anche per evitare venisse scoperto dalla Gestapo) sono stati, decenni dopo, i nipoti. E adesso il diario è uscito in un volume (più di 400 pagine) presentato ieri, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia che ne ha reso possibile la pubblicazione curata da “GliOri“, dallo storico Giorgio Petracchi. Il momento più commovente è stato quando il nipote Giorgio, trascrittore, ha mostrato l’originale, incellofanato perchè pagine così fragili si stanno lentamente deteriorando: le pagine (“presto diventeranno polvere”) su cui il nonno descriveva, giorno dopo giorno, le violenze e le umiliazioni subite da questi militari che avrebbero potuto benissimo uscire da quelle prigioni; sarebbe infatti bastato aderire alla Repubblica di Salò.
Qualcuno lo fece. Ma la stragrande maggioranza (“per dignità”, ha sottolineato il presidente dell’Istituto Storico pistoiese della Resistenza, Roberto Barontini) si rifiutò di farlo, quel giuramento ai repubblichini. Accettando così violenze, fame, umiliazioni, condizioni estreme nei “campi” controllati dalla Gestapo. Per il colonnello De Vita, nato in Campania e dal 1928 assegnato in via definitiva a Pistoia, al reggimento fanteria, scrivere diventò “un modo per sopravvivere”.
Volume di non facile lettura. Ma tutti noi dobbiamo qualcosa a Salvatore De Vita e ai tanti internati militari italiani che da un istante all’altro, dopo l’8 settembre 1943, precipitarono in una situazione singolare per dare prova (almeno nei 3/4 di loro, che in tutto furono almeno 650 mila) di un altro tipo di resistenza al nazifascismo: una resistenza “altra”, una resistenza “senza armi”. Ma una resistenza per molti decenni ignorata. “L’Italia non ci può dimenticare, ne sono sicuro – scrisse De Vita il 9 aprile 1944, Pasqua di Resurrezione – l’Italia non ci può dimenticare, l’Italia avrà ancora bisogno di ognuno di noi”.