E’ raro che un libro mi “prenda” in questo modo. “Morte di un presidente”, inchiesta di Paolo Cucchiarelli, giornalista investigativo, su “prigionia e assassinio di Aldo Moro”, mi ha preso. E non può essere che così, almeno per chi ha la mia età e per chi, in quel lontano 1978 (accidenti, l’anno prossimo saranno 40 esatti) faceva politica, nel mio caso da piccolo dc di periferia, e parteggiò per quella che tutti chiamavamo “linea della fermezza”: la linea che portò al cadavere chiuso nella Renault4 rossa e fatto trovare vicino alla sedi della Dc, del PCI, della massoneria.
Non può non “prendere” un libro così denso e pesante (in certe – fra le oltre 400 pagine – neppure tanto facile da leggere) che mette in ordine gli eventi finali di quella tragedia e contribuisce a ricordarci come nulla, proprio nulla, nelle verità “ufficiali” corrisponde a come, nella realtà, si svolsero fatti che avrebbero cambiato l’Italia.
Chissà mai se l’avremo tutta e completa, la verità vera sull’affare Moro. In Parlamento sta operando una nuova Commissione: ed è qui che nel febbraio 2016 un sacerdote toscano, don Fabio Fabbri, a suo tempo stretto collaboratore del sacerdote cui Paolo VI aveva affidato il compito di trovare la strada per liberare il prigioniero, ha riferito particolari fino a quel momento inediti circa la “firma” di chi uccise Aldo Moro. Altro che verità … ufficiale (quella che racconta di un Moro tenuto sempre nello stesso covo e ucciso da brigatisti): ad assassinare il presidente della DC, uomo “mite e buono”, fu – secondo la rivelazione – un killer professionista della ‘ndrangheta, uno che era solito uccidere “facendo una rosa di proiettili attorno al cuore senza toccare il muscolo cardiaco”.
Pochissimo, in ciò che ricordiamo della verità ufficiale, risulta vero in quella “partita di scacchi” giocata fra tanti personaggi e tanti poteri, alcuni trasparenti altri assai meno: partiti politici e Vaticano, servizi segreti e massonerie, criminalità organizzate e delinquenze comuni, polizie e brigatisti, aristocratici e musicisti, Stato e anti Stato. Il libro di Paolo Cucchiarelli, difficile da leggere anche per l’angoscia che provoca, lo sostiene.
Fin dalle prime ore del rapimento, in tanti (poteri dello Stato compresi) sapevano dove Moro era tenuto prigioniero. E tutti, tranne noi cittadini, sapevano dove via via Moro veniva portato. Moro poteva essere salvato. Su Moro si giocarono partite oscure. “Se non riusciamo ad arrivare alla verità sul caso Moro, siamo davvero perduti” scrisse Leonardo Sciascia nell’agosto 1978.
“Se vorrete portare un fiore, dire una preghiera, concedervi un momento di meditazione o di semplice silenzio per ricordare questa Italia … che fu sconfitta in via Caetani, recatevi a Torrita Tiberina, a pochi chilometri da Roma. La tomba del presidente, “Il meno implicato di tutti”, è una delle ultime, in fondo a sinistra”. Chiude così, “Morte di un presidente”. Credo che a Torrita Tiberina, in quel piccolo cimitero di campagna, dovrò tornarci. In attesa che, a tornare, sia la verità piena.